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S. CLAUDIO TESTAVERDE - SILENZI E... CONFRONTI

18 gennaio 2012

di Claudio Alessandri

Chiunque possegga una macchina fotografica, sia essa di grande marca o una cosiddetta “usa e getta”, spera sempre che fra i tanti “scatti”, uno, almeno uno, sia un capolavoro: è questa la massima aspirazione d’ogni fotografo dilettante.

E’ una conseguenza logica dopo avere osservato gli “scatti” dei grandi “maestri”; un ripetersi in forma moderna e meccanica di quello che fanno (e hanno fatto) molti pittori che, avendo osservato i capolavori dei grandi artisti, cercano di riprodurre gli stessi soggetti, gli ambienti, i colori e il pathos che, inevitabilmente, ogni capolavoro d’arte trasmette all’osservatore. In ambo i casi, ne scaturirà qualcosa di approssimativamente simile, ma brutto, addirittura sgradevole; nella migliore della ipotesi, un buon copista, eseguirà un “clone” privo di fantasia e lontano dall’ispirazione che ha dato vita all’originale. Ogni opera d’arte, quindi, è strettamente legata a sentimenti intimi che nessun mezzo meccanico potrà mai interpretare. Ecco che la mia premessa trova evidente conferma nelle fotografie di Testaverde.

La tecnica è perfetta, ma i soggetti riprodotti vivono di personale espressività. Non vedo in queste immagini la fredda, per quanto bella, ripetizione della realtà; vengo catturato da sensazioni che vanno dal ricordo di giovanili esperienze, alla poesia che non può essere interpretata da dotte speculazioni ma solo nell’abbandono della realtà, affidandosi a quel “lampo divino” presente in tutti noi, ma che purtroppo sacrifichiamo, il più delle volte, al soddisfacimento di godimenti banali, fini a se stessi, che non condurranno mai ad un amore universale.

Claudio Testaverde fotografa il mare; qualcuno potrebbe dire: “banale”; sennonché la fotografia non ritrae una superficie tranquilla o tempestosa, ma quella stessa superficie ripresa dal fondo marino. E’ curioso, talvolta, ascoltare i commenti di coloro i quali si apprestano a guardare alcune foto: alcuni vedono un cielo tempestato di cirri, altri, nuvole sciroccali. Nella realtà sono le varie trasparenze della superficie marina; specchio capovolto a rimirare il cielo schermato da un filtro di acqua salata; nulla di banale dunque ma di poetico, atto a destare nel prossimo visioni errate, ma comunque poeticamente curiose; uno stimolo a ravvivare sentimenti nobili, fra tanta indifferenza e squallido materialismo.

Un’orrida scogliera si getta perpendicolarmente nel mare: là, in basso, tutto sembra suggerire paura del vuoto, dell’ignoto, ma ecco che sul mare lontano si delinea una scia bianca, generata da un peschereccio che la grande distanza quasi preclude alla vista; quel puntino è sufficiente ad attrarre l’attenzione recuperando anche il baratro ad un insieme armonico, anzi indispensabile a placare l’ansia dell’ignoto, del malessere destato dall’incompletezza, da una visione disarmonica.

I cieli deflagrano in mille tonalità, rosso fuoco, giallo sulfureo, viola penitente e nero lavico. Potrebbe essere un’alba o, forse, un languido tramonto mediterraneo; poco importa designarne il tempo, l’ora: la bellezza travalica ogni ristrettezza temporale per espandersi all’infinito in un tentativo divino, un messaggio visivo ad invadere di ammirata mestizia, il cuore e l’anima. Potrei continuare nella descrizione delle sensazioni che hanno provocato in me le foto di Testaverde ma rischierei di ripetermi diventando a mia volta banale. Nel porre fine alle mie personalissime disquisizioni, non posso fare a meno di porgere un invito a tutti coloro che posseggono un apparecchio fotografico a non fermarsi mai, di scattare ed ancora scattare: forse non salterà mai fuori un capolavoro, ma avranno cercato, in ogni modo, di esprimersi poeticamente, non con le parole, ma con immagini che rimarranno per sempre impresse nell’intimo più sublime della propria anima.

S. CLAUDIO TESTAVERDE - SILENZI E... CONFRONTI