- A PALERMO VA IN SCENA UNA MOSTRA DEDICATA A MICHELE CATTI.
29 giugno 2013
di
anna scorsone alessandri
A quasi 100 anni dalla scomparsa di Michele Catti (1855-1914), la Fondazione Sant'Elia, con il patrocinio della Provincia Regionale di Palermo e del Consorzio Universitario della provincia di Palermo, in collaborazione con la de Arte Service e Management, rendono omaggio a questo illustre artista con la mostra “Michele Catti 1855-1914”: allestita nella sua città, nel piano nobile di palazzo Sant’Elia con una esposizione di oltre 130 opere provenienti in massima parte da collezioni private, ma anche da istituzioni quali la Galleria d’Arte Moderna di Palermo, la Fondazione Sicilia, l’Assemblea Regionale Siciliana, la Banca Nuova e il Circolo Artistico., un museo nascosto che diventa visibile.
Michele Catti occupa una posizione anomala, per il suo sentire intriso di struggente malinconia che giunge a divenire angoscia del vivere. Interpreta la sua città in modo singolare, con visioni autunnali rendendoli più simili alle capitali nordiche che a città mediterranee; anche i paesaggi siciliani vestono la luce dei mesi autunnali ben diversi dalla solarità isolana.
Artista sensibile e raffinato, Michele Catti sembrava avvertire la dicotomia nella quale si dibatteva la società dell’epoca, avvertiva quasi un presagio, il senso del declino di una cultura e di un’epoca, la coscienza di trovarsi alla fine di un ciclo. L’agire della grande imprenditoria locale, stigmatizzata nella parabola dei Florio la cui fortuna era destinata a dissolversi in breve tempo, così come anche la città che si era espansa a dismisura al di là delle sue mura, la città stessa era stata teatro del mutare dei tempi. Nel giro di cinquat’anni erano stati costruiti due grandi teatri, la Palermo dei quartieri nuovi che si arricchiva delle costruzioni liberty che facevano bella mostra di sé. Ma bastava spostarsi a pochi centinaia di metri dallo sfarzo e dallo sfavillio dei palazzi nobiliari per assistere ad una Palermo vecchia con case fatiscenti in una condizione di degrado che non trovava eguali nel resto d’Europa. Nella poetica di Catti affiora come un presagio, una sorta di pessimistica realtà, scandita dai ritmi lenti della narrazione che segnano lo scorrere del ricordo.
I colori solari, cromie calde ed avvolgenti della natura siciliana cedono il passo ad ampie velature di grigio che offuscano la visione e formano fra gli alberi una sottile nebbiolina. Personaggi muti riconoscibili nei raffinati abiti di fattura parigina come all’epoca usavano uomini e donne della ricca borghesia. Una tela raffigura Via Libertà dove rigogliosi aranceti hanno via, via, ceduto il passo alle dimore della ricca borghesia. È la scena di Michele Catti in “Ultime foglie”, dove uno scorcio di paesaggio urbano appare in un’atmosfera alquanto inconsueta, avvolta in una luce autunnale, carico di malinconia: le foglie giallo dorato si accumulano mestamente sul selciato bagnato, mentre una piccola folla è intenta alla quotidiana passeggiata nel famoso centro cittadino.
Ogni azione è descritta nei suoi tratti essenziali. Analoga atmosfera si ritrova in “Autunno”, dipinto presentato nel 1896; una figura femminile, appena abbozzata, ricoperta da uno scialle colorato, unica presenza di vita nell’interno di quel paesaggio, l’opera è riconducibile al tema “Vento e nebbia” ma lo scenario è mutato: non più il paesaggio di monti e di case bensì le dissolvenze della vegetazione lungo il fiume che scorre con andamento obliquo. In tutte le opere di Catti si trovano queste atmosfere autunnali e invernali molto diverse dalla solarità isolana. Egli amava dipingere nella quiete del suo studio, per rielaborare, attraverso le sue emozioni le immagini e le sensazioni che la natura gli suscitava. La malinconia è il tema dominante, la sua arte se pur corposa e culturalmente complessa, non si accosta alla realtà, se non attraverso un tipo di mediazione psicologica che ne scolorisce i toni e ne appiattisce la crudezza.
Una delle sue ultime opere è “Due novembre”: l’opera si colloca nell’ultimo tempo della pittura della vita dell’artista che si esprime in un dolore non gridato ma malinconicamente sofferto e nell’accettazione di una fine ormai prossima. L’oscuro addensarsi dei colori, la cadenza delle ombre compatte che si sviluppa in parallelo con gli alti cipressi scuri sullo sfondo impediscono la visione del paesaggio al di là della balaustra e fanno un tutt’uno con le nere figurine indistinte che si agitano come ombre sulla scena e che ne sottolineano gli ultimi anni di vita vissuta in travagliata solitudine.
Su tutta la sua pittura domina una natura pietosa che stende un velo di coltri grigie sul dolore degli uomini e si scioglie su una pioggia leggera. È l’estremo epilogo di una ricerca pittorica che partendo dal dato realistico, lo rielabora attraverso una visione emozionata delle cose per cui la realtà non è più punto di riferimento. La sua pittura non sarà mai imitazione della realtà ma proiezione di uno stato d’animo che si nutre del ricordo. Catti è da leggere nella sua unicità: indifferente alle tendenze dominanti affermò sempre se stesso con il suo lirismo e la sua vena poetica; ecco perché è impossibile rintracciare nella sua produzione l’appartenenza a una scuola o a uno stile. La sua stagione più feconda si svolge fra il 1890 e il 1910, cinque delle sue opere vennero acquistate dalla Casa Reale ed il dipinto “Primavera” dal ministro Coldracchi.
I suoi successi espositivi trovano successo negli ambienti aristocratici. Ma Catti non condividerà fino in fondo i fasti e l’opulenza della società borghese e aristocratica della quale pure fa parte. Dalla sua città egli coglie altri aspetti e altri umori, di solitudine, di disagio, di modernità come crisi. Provato da lutti e ristrettezze vende i piccoli lavori a poco prezzo tenendo per sé le opere più impegnative per poi separarsene sempre con dolore. Gli ultimi quadri sono presagio di morte che avviene a Palermo il 4 luglio del 1914.