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- SPECIALE FEDERICO II. LA VEDOVA SENZA PIETA' -

12 gennaio 2009

di Claudio Alessandri

L’Imperatore Federico II un giorno fece impiccare un signore importantissimo per un delitto che aveva commesso e perché la sua giustizia fosse d’esempio a tutti i sudditi, pose a guardia del giustiziato un grande cavaliere e gli ordinò di non allontanarsi mai perché nessuno dei familiari dell’impiccato lo portasse via, sottraendolo allo sguardo dei cittadini, se fosse avvenuto ciò, per il cavaliere era riservata una tremenda punizione.

Il cavaliere non prestò l’attenzione che gli aveva chiesta l’imperatore e il condannato fu portato via, quando se ne avvide pensò subito alla spaventosa punizione che l’attendeva e non potendo chiede soccorso a nessuno, cominciò ad arrovellarsi per trovare un sistema per scansare la punizione.

Rimase a pensare tutta la notte e finalmente gli parve di avere trovato un modo per salvare la vita, vicino al luogo del supplizio esisteva una badia dove venivano ospitati i morti recenti, si recò quindi in quel luogo sperando trovare un morto recente per metterlo alla forca in sostituzione di quello che era stato trafugato.

Giunto alla badia vi trovò una donna in gramaglie che si disperava e piangeva inconsolabile perché il giorno innanzi le era morto lo sposo; il cavaliere, con fare gentile, si avvicinò per consolarla, la vedova proseguendo a piangere gli disse che lei amava infinitamente il marito e mai si sarebbe consolata prendendo altro marito, e piangendo avrebbe atteso la fine dei suoi giorni.

Il cavaliere disse alla donna che il suo modo di fare era da folli perché nessun pianto o lamento avrebbe riportato in vita il marito e lei si sarebbe consumata nel dolore senza alcun costrutto, detto questo le fece una proposta. Le disse sposate me che non ho alcuna donna, così facendo mi salverete le vita che è in grave pericolo e non so dove fuggire per scampare alla punizione che gli avrebbe inflitta l’imperatore perché si era distratto e i familiari dell’impiccato lo avevano portato via. Se lo avesse sposato gli avrebbe salvato la vita ed in cambio luo l’avrebbe fatta vivere agiatamente.

La vedova udendo le parole gentili del cavaliere sentì per lui una grande attrazione ed accettò con slancio la proposta, lei stessa aiutò il cavaliere a prendere il marito morto ed appenderlo alla forca, il cavaliere si sentì salvo, ma osservando la scena disse alla donna che all’impiccato portato via dai familiari mancava un dente, se qualcuno fosse venuto a controllare, per lui sarebbe stata morte certa e con disonore.

La vedova non esitò un attimo e spezzò un dente al marito precisando che avrebbe fatto tutto quello che fosse tornato utile al cavalieri, ma questi avendo assistito a quello spettacolo orrendo disse alla donna che se era stata capace di quell’atto impietoso nei confronti del marito che, come aveva affermato poco prima, amava tanto, come avrebbe potuto fidarsi del suo amore che, per la recente conoscenza, non poteva paragonarsi a quello nutrito verso il marito morto e lasciatale andò per i fatti suoi lasciando la donna gravata dalla vergogna per quel gesto inumano.

IL TRADIMENTO DEL FALCONE

L’Imperatore Federico era un espertissimo falconiere. Un giorno si recò a caccia portando con se il falco più bello ed addestrato che aveva, vide alta nel cielo una cicogna e lasciò libero il falco perché la catturasse, qusti volò altissimo, ancor più in alto della cicogna, poi scese velocissimo, ma non caturò qusta, piombò su un’aquila ancora giovane e la uccise.

L’Imperatore accorse pensando di trovare la cicogna, invece vide l’aquila morta e montò in ira, ordinò quindi che ai falco venisse mozzata la testa perché aveva avuto l’ardire di uccidere il signore degli uccelli e quindi anche signore del falco.

LA PIETRA DELL’IMPERATORE

La leggenda è legata ad un contenzioso “sindacale” che vide contrapposti i braccianti agricoli della Conca d’oro e i loro datori di lavoro.

Secondo tradizione, i contadini dovevano lavorare nei campi dall’alba al tramonto, obbligo che in Sicilia è difficile da assolvere d’estate quando il caldo e l’afa rendono il lavoro fisico un vero inferno. Così i braccianti si rivolsero all’Imperatore chiedendo che intervenisse per rendere più umane le loro condizioni di lavoro.

Federico II non rimase insensibile alla richiesta dei contadini e, come narra la leggenda, dispose che ai piedi del Monte Pellegrino venisse collocato un grosso masso a forma di cono alto circa quattro metri e ordinò che, quando l’ombra della montagna avesse lambito la base del macigno (cosa che si verificava verso le quattro del pomeriggio), i braccianti smettessero di lavorare. Il popolo chiamò questo grande sasso a forma di cono Pietra dell’Imperatore.

Di questa pietra, che rimase al suo posto per molti secoli, si hanno numerose testimonianze fino a quando nel XIX secolo non fu fatta saltare con l’esplosivo per ricavarne materiale da costruzione.

Queste storie o meglio leggende, perché non credo ci siano evidenze storiche, fanno capire tuttavia quanto illuminato debba essere stato il governo di Federico II in un periodo in cui il resto d’Europa era immerso nel “rigido” medioevo.

Sin qui le leggende popolari e le profezie erudite tramandate dal popolo e nobilitate dalla penna di famosi studiosi di tradizioni popolari e di testi antichi che hanno avuto l’innegabile merito di fare da propizi “traghettatori” da un secolo all’altro. Racconti destinati altrimenti ad un inevitabile oblio, poco importa se Federico II, appare alle volte un tiranno crudele, alle volte un eroe destinato alla santità, Guelfi e Ghibellini spartivano equamente il loro odio o la loro devozione.

 

LA LEGGENDA DI S. FRANCESCO E FEDERICO II

L’immensa luce che si era riverberata, per secoli, su tutto il mondo conosciuto e che, da Roma, si era propagata anche nelle lande più inospitali, la sua civiltà basata su leggi scaturite da menti elette, la tolleranza per tutte le religioni, un’amministrazione della cosa pubblica basata sull’assoluta correttezza; questa salutare luce, giunse inevitabilmente a spegnersi man mano che si affermò l’immensa ricchezza che, cancro maligno, generò inevitabilmente brama di affermazione sociale e politica e quindi corruzione, dal vivere senza più regole, da una esistenza corrotta da vizi, dalla lussuria, dalla rilassatezza dei costumi. Seguì una oscurità che vide quel mondo crollare sotto il maglio implacabile dei popoli delle steppe, dalle foreste nordiche, avvezzi ad una vita spartana priva di regole codificate, dove la ragione era considerata “debolezza” e “legge” la bruta violenza.

Fu allora che, in quella tragica oscurità, si accesero due immense luci, che ridiedero speranza ai secoli a venire; Federico di Svevia l’imperatore del “Sacro Romano Impero” e Francesco d’Assisi, il “santo dei santi”; il primo il “martello” che sgretolò le pretese vaticane sul potere temporale, il secondo, campione di ascetismo che “inondò” di spiritualità il mondo intero con il suo esempio di amore e bontà.

Era inevitabile che la fantasia popolare facesse incontrare questi due “uomini straordinari”, e la storia ufficiale vinta dalla forza di quei carismi, cercò, contro ogni logica, di “ufficializzare” quell’evento.

Dovremmo trovarci intorno al 1220, Francesco tornava da una missione in Egitto per tentare di convincere il Saladino a restituire alla cristianità la città santa, Gerusalemme; Federico lo ospitò presso un suo castello nelle Puglie, il banchetto fu quello di un grande imperatore, Francesco partecipò, ma si astenne da toccare cibo e presto si accinse a ritirasi nella sua stanza per passarvi la notte, quando entrò vide un immenso letto ed un desco imbandito di ogni leccornia, la grande ed accogliente stanza scaldata da un gigantesco camino, ma Francesco non mangiò e ignorando il comodo letto, come suo uso, si coricò sul nudo pavimento.

I nobili, ospiti anche loro del castello e che osservavano da uno spiraglio del muro le reazioni di Francesco, non si diedero per vinti e mandarono nella stanza del santo una splendida fanciulla che lo invitò a giacere con lei.

Francesco non si scompose, ma prese dei tizzoni roventi dal camino, li dispose a terra a guisa di giaciglio, quindi invitò l’esterrefatta fanciulla a sdraiarsi su quel letto, solo allora avrebbe condiviso la sua “generosa” offerta.

Coloro che osservavano dalla fessura, a quel vedere non ebbero più dubbi e corsero da Federico per comunicargli che quell’umile fraticello era veramente un santo.

Fin qui la leggenda non priva di spunti gustosi e che descrive, ingenuamente l’idea che il popolo minuto aveva della vita che conducevano abitualmente i nobili, dissoluta, pervasa da una sensualità irrefrenabile e volgare, un’esistenza frivola e dedita ai soli piaceri materiali.

Quanto da me riportato però non è suffragato da alcuna testimonianza assolutamente certa; al contrario è reale la visita di Francesco al Saladino d’Egitto, “Malik al-Kamil”, riportata dagli storici ed immortalata nel 1200 dal sommo pittore Giotto in un affresco da lui eseguito ad ornare le pareti della chiesa di Assisi dedicata al “giullare di Dio”e facente parte del ciclo dalla vita del santo. Identico episodio venne affrescato nel 1400 da Domenico Ghirlandaio raffigurante la prova del fuoco davanti al Saladino ed ancora godibile nella Cappella Sasseti in Santa Trinità a Firenze. Vero o non vero l’incontro fra questi due “giganti” della fede e della storia, ci da la sensazione di essere partecipi di un “momento fatato” quando si decisero i grandi mutamenti della storia mondiale.

Sarebbe stato interessante ascoltare ciò che si dissero Francesco e Malik al-Kamil durante il loro, ipotetico, incontro, avrei appreso certamente i principi che sono alla base del vivere in armonia, senza violenza, fame e prevaricazioni, dalle loro parole sarebbe scaturita la soluzione all’annoso problema, ancora non risolto ai nostri giorni, anzi sempre più attuale, cioé la convivenza pacifica e collaborativa frà cristiani e musulmani.

In tempi recenti si è tentato di condurre questa leggenda nell’ambito della storia scoprendo una lapide proprio nel castello di Bari: poco importa se i Fioretti di San Francesco, al Cap. XXIV, attribuiscono lo stesso episodio non a Federico II ma al Sultano d’Egitto, la straordinarietà irripetibile del trionfo della ragione sul cieco egoismo.

Sul versante della documentazione storica le Fonti francescane, solitamente affidabili e ben documentate, non recano alcuna memoria di incontri tra Federico II e Francesco d’Assisi. Esiste solo una generica tradizione che dimostra quanto sia sempre stato vivo il desiderio di vedere a confronto i due giganti del mondo medievale che avrebbero avuto tante cosa da dirsi visto che gli interessi ideali e le battaglie dei due personaggi avevano terreni se non proprio comuni almeno coincidenti..

In merito alla Crociata degli Scomunicati del 1229 conclusa senza spargimento di sangue, avvenimento da me trattato nel corpo della narrazione della vita di Federico, lo storico francese Julien Green nella sua accreditata biografia di San Francesco (Milano, Rizzoli, 1984) non esita ad ipotizzare che proprio “Malik al-Kamil restituì Gerusalemme a Federico II forse conquistato dalle idee del poverello”.

Francesco sta lottando per affermare le proprie idee di povertà, spirito evangelico, predicazione itinerante; ma la Regola da lui voluta è osteggiata dalla ricca Curia romana e scarsamente condivisa dallo stesso pontefice. Federico II è cosciente di avviarsi verso lo scontro frontale con il Papato che intende ridurre alle sole prerogative spirituali, peraltro ben tutelate dal potere imperiale.

Francesco, 38enne, affaticato dalla penitenza e minato dai malanni, sta volando verso la santità coronata, da lì a quattro anni, dalle stimmate, il massimo segno divino. Accanto a lui prende potere frate Elia da Cortona che, fautore della separazione dei poteri temporale e spirituale, conta di fare da tramite fra i due: morirà scomunicato. Federico II, 26enne, all’apice della potenza, inizia a concepire il sogno di un Impero laico universale, esteso dalla Sicilia all’Oriente Islamico. Vengo inevitabilmente assalito dai brividi provocati da sensazione magica; un grande “santo” ed un grande “scomunicato”, avevano già da allora immaginato un mondo basato sull’eguaglianza fra gli uomini di tutte le razze e di religioni diverse, ancora una volta a prevalere non è la “storia”, ma la leggenda.

articolo del 12.1.09 siciliainformazioni

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