- GIORGIO CHIESI , PRIMA DI TUTTO LA DONNA E L'UOMO -
17 giugno 2009
di
Claudio Alessandri
La nostra conoscenza con il maestro Giorgio Chiesi risale a moltissimi anni addietro. Il nostro incontro è avvenuto in una occasione festosa, infatti con una sua personale inaugurava la nuova sede della Galleria d'Arte di Palermo, una impresa non di poco conto in considerazione che il periodo dorato per le attività culturali, comprese quelle espositive, mostrava i primi gravi segni di una crisi che, in breve tempo, raggiunse il culmine. Crisi che perdura ancora ai nostri giorni e, quel che è più grave, non se ne scorge la fine.
La scelta era caduta su Giorgio Chiesi perché pur giovane, era stato notato ed incoraggiato nella sua attività da fior di critici d’arte, primo fra tutti Renzo Bertoni. Per noi rappresentava una novità assoluta, ma la nostra curiosità non andò delusa. Le opere di questo artista ci investirono con tutta la loro carica di denuncia sociale, non mascherata, ma evidente, talmente palpabile da insinuare in noi un disagio intimo, ancor prima di quello schiettamente artistico. Eppure, pensammo era proprio il suo modo di dipingere che colpiva, risvegliava il mondo sonnolento dei “salotti culturali” allora di grande moda.
Le opere di Chiesi rappresentavano, preferibilmente, periferie di grandi città anonime, vero margine di un lusso non condiviso che mostrava una realtà triste. Si imponevano ovunque gli scarti di un vivere dissennato, figure femminili che vagavano disperate per donare effimero piacere in cambio di pochi quattrini, tutto sfacciatamente contornato dai cartelloni pubblicitari ancor più avvilenti con i loro colori squillanti, a deridere crudelmente quel mondo di reietti, umanità senza avvenire, comparse non gradite dal consumismo imperante.
Dopo quella personale non ebbi più l’occasione di incontrare Giorgio Chiesi ma quell’artista aveva colpito profondamente la mia attenzione e continuai a seguirlo, sulle riviste d’arte che sempre più spesso gli dedicavano ampi “servizi” impreziositi dalla riproduzione di alcune sue opere, continuavo il suo cammino in divenire. Ebbi comunque la possibilità d’osservare il cambiamento radicale che l’espressione artistica di Chiesi assumeva nel trascorrere degli anni, una trasformazione grafica ed essenzialmente coloristica.
Le atmosfere brumose e tristi delle periferie divennero vivide di luce e di cromie vivaci, tanto lontane dagli esordi di questo artista. Un cambiamento che ancor più mi incuriosì costringendomi ad approfondire le “idee” pittoriche di Chiesi, ed in modo particolare la sua personalità, il suo “modo” espressivo che nel variare tanto “violentemente” diveniva per noi uno stimolo irrinunciabile a cercare il “perché”; l’impulso intimo e quindi segreto e pudico di Chiesi a mostrare apertamente il suo “messaggio” che avvertivamo pressantemente, ma non riuscivamo a disvelare, a comprendere nella sua totalità. Per noi scoprire quel segreto intimo, equivaleva a penetrare nel mondo pudico dell’artista e carpire il segreto del suo esprimersi, in poche parole, esaudire il desiderio celato da qualsiasi critico d’arte.
Per fare ciò ci siamo immersi nell’osservazione critica delle opere di Chiesi, osservazione già attuata in precedenza, ma adesso ancor più dopo quel radicale cambiamento. Più ci addentravamo nella speculazione visiva e sensoriale di quelle opere e più la nostra incertezza seguiva un crescendo esasperante, una sorta di sfida alla quale non volevamo rinunciare, sarebbe stata una sconfitta bruciante e determinante per la nostra attività futura. Infine, la nostra costanza ci ha premiati, o almeno così crediamo; le tristi atmosfere della “prima maniera” di Chiesi nelle sue opere recenti si vivacizza. Il colore apparentemente dà luce al dipinto; non è così, adesso la luminosità evidenzia ancor più una realtà offesa dalla violenza, dalla prevaricazione.
I soggetti “simbolo” di prima, le donne, ritornano anche dopo, bellissime ed evidentemente disponibili, ma i loro splendidi corpi non vengono mai rappresentati nella interezza anatomica, mostrano impudicamente i simboli della sensualità, il loro corpo è celato allo sguardo, animali destinati al consumismo per il quale il superfluo diviene zavorra, inutile complemento di un “bello” da mostrare a stuzzicare brama di sesso ed appetito corporale.
Tutte le opere di Chiesi sono “sbarrate” da un significativo filo spinato, simbolo impietoso di una prigionia mentale, prima ancora che fisica. Il “ volto mascolino” è rappresentato da esseri poco comprensibili, fra il grottesco ed il ridicolo, esseri incapaci di amare e farsi amare se non veicolati dal sesso mercenario, esercitano violenza per nascondere la loro reale natura di pavidi, incapaci moralmente ed intellettualmente di sentimenti puri, capaci solamente di amore “rubato”, anche loro vittime incolpevoli del vivere in una realtà nella quale giustizia sociale e pietà per le sventure altrui, vengono demandate ad un “potere” che, viceversa, proprio da quelle miserie trae linfa vitale per la sua sopravvivenza.