- L'ARTE NEL SOGNO, FRANCO GENTILINI IN MOSTRA a LONGIANO.
15 giugno 2009
di
Claudio Alessandri
Reduci della mostra ospitata ad Assisi, le opere di Franco Gentilini, adeguatamente arricchita da simboli poetici, emanazione della loro capacità di nobilitare i sentimenti, ma anche l’apparente banale, emanazione di intimismi coinvolgenti, che accompagnano con evidenza le realizzazioni di questo straordinario Maestro del novecento, sono approdate, ben cinquanta, grazie alla Fondazione Tito Balestra, nel Castello Malatestiano di Longiano in provincia di Forlì.
La mostra è stata “impaginata” da Giuseppe Appella e annovera dipinti, disegni e opere grafiche. L’avvenimento percorre l’attività artistica di Gentilini dal 1944 al 1980, quando la sua adesione alla “Scuola Romana” era tramontata, non senza avere lasciato all’artista il gusto profondo per i colori sognati a quelle forme architettoniche che Gentilini adotterà adattandole alla sua personale visione delle forme.
E’ subito evidente nei dipinti dell’artista romagnolo l’influenza del vivere in città soffuse di storia e di arte, doti fantastiche, difficilmente raffigurabili in forme e cromie aderenti alla realtà, quella evidenza finirebbe per banalizzare ogni cosa svuotandola di ogni contenuto poetico, di quella atmosfera magica sospesa tra realtà e sogno, sottratta al gravame della realtà che tutto massifica e sottrae alla bellezza ispiratrice del “volo” poetico.
Franco Gentilini dopo avere attraversato esperienze stilistiche quasi obbligatorie per gli anni che videro gli esordi della sua carriera, cioè il futurismo e la metafisica, crea, è la parola esatta, uno stile assolutamente personale che, prima di ogni cosa, predilige il disegno, elemento indispensabile alla sua idea innovatrice del contenuto simbolico esplicitato attraverso una invenzione che, traendo dalla fantasia e dalla poesia, mondi sognati irreali solo per coloro che si rifiutano di comprendere, fonde due stili scolasticamente e severamente definiti, il futurismo e la metafisica in uno stile “terzo” appropriato a cogliere gli stimoli di ambedue traendo solamente la realtà in essa contenuta, ma adombrata da schemi rigidi ed oppressivi che negano il poetico e con esso il fantastico.
Gentilini affonda il suo sentire artistico in dimensioni mai raggiunte da alcuno prima di lui, per lui il disegno è basilare, ma non costrittivo, un ausilio indispensabile per giungere a figurazioni svincolate da schemi prestabiliti, alla ricerca costante di un mondo che appartiene esclusivamente a lui, nelle forme e nelle atmosfere, ed ecco tornare in primo piano la sua ricerca di un contatto, fisico e spirituale con i grandi poeti, intellettuali che vivono in una realtà sospesa e la descrivono facendola penetrare negli animi più restii ad accettare mondi immaginati che creano in loro quel senso di precarietà nemico del desiderio, tutto umano, di certezza inamovibile.
Per avere un’idea, appena sufficiente, a comprendere il “narrare” di Gentilini, è bastevole, per dare corpo ad un’idea, la stesura “granulosa” del colore, una tecnica non nuova ma che infonde al dipinto il valore prezioso di un affresco che acquista profondità dal giuoco sapiente dei cromatismi; per fare un esempio, basta osservare il rosso purpureo del sipario di un teatro, prossimo a celare la scena dell’ultima commedia, “fratturato” dal nero misterioso del palcoscenico che, adesso, è tornato nell’anonimato di una “non realtà”, un luogo che vive esclusivamente quando nel suo ristretto mondo “va in scena” il fantastico, il mistero di una realtà racchiusa nel verso commuovente del poeta. A frapporsi alla irrealtà fa capolino una “maschera” vestita di bianco, anch’essa sembra svanire lentamente inghiottita dalle tenebre che l’assediano.
L’originalità di Franco Gentilini vive all’unisono con il verso poetico, in un certo senso lo illustra, rende visibile l’invisibile, dandogli forma e dignità visiva, senza mai abbandonare l’idea di una pittura libera da costrizioni stilistiche che non sia la sua, ma il suo è uno stile, o non – stile che comprende varie aspetti della realtà specchiata in una mente che non conosce regole inamovibili, scorgendo nelle forme codificate la fine della poesia e del suo, solo suo, mondo fiabesco.