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- SCIAVOLINO ENZO " LA CULLA DEI NOSTRI SOGNI"

4 ottobre 2008

di Claudio Alessandri

L'immenso sole del cielo siciliano illuminava i suoi innocenti svaghi giovanili, le sue corse sfrenate sui sentieri di lava disseccata e polvere sulfurea, ma Sciavolino, o sarebbe meglio dire, la sua famiglia, non sfuggì ad un destino doloroso, comune a tanti altri isolani, una emigrazione a Torino alla ricerca di lavoro, un avvenire meno periglioso per i propri figli ed un ambiente meno soffocante della Valledolmo di allora, angusto per territorio e per elaborazioni di un modernismo cerebrale di un mondo vasto, pronto ad accogliere l’inventiva e le istanze di una rigenerata vitalità mentale.

Valledolmo era lontana nello spazio e nel tempo ed il suo ricordo di sedicenne esaltato dall’avventura che occultava il rimpianto, scoloriva lentamente col trascorrere degli anni, nuove abitudini di vita, estranea alla sua natale civiltà rurale, ma idonea a sopravvivere fra il cemento gelido, nel clima e negli affetti, della Torino ordinata e laboriosa degli anni del dopoguerra.

L’innata propensione per il bello scultoreo e figurativo lo portò a frequentare il locale liceo artistico dove conobbe Sandro Cherchi che lo introdusse all’esaltante “mistero” della scultura e, da allora ebbe inizio la sua carriera artistica proficua e variegata, scultura, incisione ed altre forme artistiche gli divennero familiari, la sua fama lo “esaltò” in Italia e, presto in tutto il mondo; viaggiò curioso di apprendere, di cogliere il bello dell’architettura, dei paesaggi e delle idee, ma, mai più tornò in Sicilia e. tanto meno, a Valledolmo. Poi, un caso, un accadimento fortuito ha condotto Sciavolino sul cammino di Aldo Gerbino e da questo felice incontro ad una mostra presso la Galleria d’Arte Studio ’71 di Palermo, il passo fu breve.

L’innamoramento di Sciavolino per la natia Sicilia è stato immediato, come il ritornare commosso dell’anima al risvegliarsi di un amore sopito incolpevolmente obliato. Immaginiamo il tumultuare di sentimenti che hanno sconvolto l’animo di Sciavolino al risvelarsi man mano, dei ricordi, del rivivere momenti lontani nel tempo eppure vividi, adesso, come quaranta anni fa quando le sue ancor tenere radici furono estirpate e ripiantate in terre lontane all’indifferente atmosfera di una grande e lontana metropoli.
 
Il suo ritrovarsi nel sole lo ha commosso ed esaltato, adesso famoso, voglioso di riconquistare il tempo perduto, una ricerca spasmodica del contatto con la sua gente, i luoghi e di lasciare un ricordo del suo “carisma”, una scultura a ripagare l’oblio che per tanti anni aveva ottenebrato la sua mente L’incontro con Valledolmo, con il suo primo cittadino, con i suoi concittadini, è stato sovrastato dall'emozione, da sentimenti di semplice commozione, come quelli di un bambino che rincontra una persona cara dopo lunga lontananza, ma adesso adulto colmato di saggezza degli anni trascorsi, dalla lontananza, dalle disillusioni che inevitabilmente la vita pone davanti ai passi di ogni uomo, la saggezza di una vita, quando tutto si placa nell’ardore del fare, del cercare qualcosa d’imperituro, per presenza, per bellezza.

Adesso per Sciavolino si realizza un desiderio celato nel proprio animo e pudicamente taciuto, un altro ritorno nella sua Sicilia in occasione di una mostra di acqueforti e sculture a Taormina presso la Fondazione Mazzullo, durante la quale illustrerà il suo progetto per il monumento scultoreo che probabilmente Sciavolino realizzerà, su incarico dei maggiorenti di Valledolmo, che hanno accolto entusiasticamente il desiderio dei Valledolmesi, un’opera scultorea a perenne ricordo del suo ricongiungersi con la terra natale, un alto albero bronzeo, con ampie fronde, popolato da colombe che tornano a posarsi sui rami dopo voli sublimi nel cielo azzurro dei ricordi e…poi un putto, un bambino paffuto che, seduto su di un ramo, regge con una mano un uccellino, una creatura semplice e fragile, molto simile all’uomo che non si esalta per ciò che crea nel suo vivere, ma lo accetta e lo dona come qualcosa che non ha forma, non ha peso, ma è colma di ricordi, di risa di bambino, di presenze di persone care che, oggi, non vivono più.

Ai piedi del tronco possente, un altro bimbo fa sfoggio di destrezza cavalcando, su un solo piede, un cavalluccio a dondolo che il vento fa rivivere nel drappo che volteggia attorno al collo del bambino. Tutto è supportato da una base di pietra policroma nella quale, a fare da negativo, vi è l’impronta dell’albero, nella “parvenza” della chioma reca scritto: “La culla dei nostri sogni”. Un’opera commovente che saetta l’anima di ricordi, di oggetti scomparsi, di un amore ritrovato dal quale mai più si allontanerà, fisicamente si, il suo genio lo impone, ma mai nell’anima rigenerata… adesso  il cuore ferito a morte si riapre ad accogliere per sempre la sua Terra, gli umori, i profumi, la sua struggente poesia.


Claudio Alessandri
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