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- STELLUTI ROBERTO E ... LE MELODIE IN BIANCO E NERO -

4 ottobre 2008

di Claudio Alessandri

La Galleria d’Arte Trentasette di Palermo ha ospitato una personale dell’Artista Roberto Stelluti, composta unicamente da acqueforti e disegni a matita. Per noi Stelluti, fino a quel momento, era stato una entità astratta, infatti, circa venti anni fa Leonardo Sciascia aveva intuito il genio di questo artista e aveva fatto giungere nella nostra città alcune opere di una bellezza coinvolgente e noi ne avevamo acquisito alcune, poi l’oblio.
 
Quindi sobbalzammo di gioia quando ci giunse l’invito della Galleria d’Arte Trentasette che annunciava una mostra, artista presente, di Roberto Stelluti, era giunto il momento di trasformare il desiderio in realtà, una realtà entusiasmante nell’osservare opere inestimabili per bellezza tecnica e figurativa e conversare con Stelluti, umile e pronto al dialogo pur nell’evidenza del suo genio.

Ed ecco, osserviamo fiori delicati di una estate senza tempo in un paesaggio scaturito dal sogno, dove il colore inesistente si esalta nella mente, colori solari si accendono tra i graffi del bulino, è un fenomeno inspiegabile dell’inconscio che coglie la bellezza di un’opera grafica tecnicamente ineccepibile, di una armonia coinvolgente, tale, da trasformare in reale l’onirico.
 
Tutto ciò è un miraggio, è fantasia che non svilisce o vanifica però la realtà del bianco e nero dell’acquaforte, tecnica dai precedenti nobili ed antichi che si colloca in un settore ben definito della storia dell’arte che ignora il colore, esaltandone esclusivamente la maestria e la bellezza formale. L’ineluttabile fine di tutto s’annuncia nella corolla di un girasole che, perduto il prorompente turgore, si piega su se stessa, ma la grandiosità dell’architettura vegetale non perde la sua irrinunciabile bellezza, non risplende più di giallo sulfureo ed i semi non rigonfiano più il suo “occhio solare”, ma quell’incisione non rappresenta la fine di un normale ciclo vitale, ma la continuità nell’arte che, con grande perizia, rigenera la bellezza e l’armonia di ciò che è stato e si ripropone allo sguardo ammirato dell’osservatore.
 
I “pesci dell’adriatico” composti elegantemente su d’un piatto profumano di mare, la loro immobilità è un crudele viatico all’ispirazione artistica ed il bianco e nero dell’incisione dona solennità ad umili creature che, fino a poco prima, guizzavano nel blu intenso del mare. La “concia di Fabriano”, che la nostra fantasia trasforma in cartiera, caratteristica nobile di Fabriano, mostra fatiscenti fabbriche che, nella loro vetustà, racchiudono il senso della fine di una attività laboriosa, sudore e fatica, abilità ed abnegazione ad un lavoro che non è solo produttivo ma è esso stesso arte pura, base per infinite opere d’arte, di supporti candidi offerti all’estro dell’artista per dare vita indifferentemente a capolavori o umili tentativi tesi a soddisfare un estro creativo non supportato dalla scintilla che innesca la fiamma del “capolavoro”. Chiese senza “cielo” aprono le vaste navate dirute ad una vegetazione selvaggia che le invade di sterpi spinosi dalle foglie fitte e minute.

“L’eremo di Grottafucile”, anch’esso abbandonato ad una vegetazione che soffoca le antiche mura che sembrano risuonare di canti gregoriani in albe, un tempo felici di operosità manuale e colma di afflato spirituale. “La villa abbandonata” genera sentimenti tristi, ma non di una imminente fine, anzi sembrano risuonare ancora delle risa di fanciulli e del chiacchiericcio di una nobiltà decadente unicamente dedita alle gioie della vita. I disegni a matita di Stelluti non fanno altro che esaltare la sua produzione incisoria, diafani frutti o fiori appena avvertiti coprono superfici semplicemente sfiorate dal genio di questo ineguagliabile artista, tutto è etereo come visioni sognate, impalpabili “quinte” che si stagliano su paesaggi armonici, dal suono tenue come di melodia romantica , ma non decadenti, anzi apportatrice di quiete serena.
 
Tutte le opere di Stelluti mostrano una bravura stupefacente unita ad una umiltà e disponibilità, come già detto, al dialogo che danno a quelle opere una doppia valenza: bellezza visiva e messaggio culturale. Di Stelluti si potrebbe scrivere all’infinito tanto è notevole il personaggio e le sue numerose opere d’arte, ma per noi è bastevole se non totalmente esauriente quanto detto sino adesso tanto da divenire stimolo e cagione di godimento interiore, una panacea al tremore che attanaglia le nostre viscere al cospetto del caos che oggi impera e nella vita di ogni giorno ed ancora colpevolmente nel mondo stupefatto dell’arte. 
Claudio Alessandri

              
 

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