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- BRUNO CARUSO , RICORDI LONTANO E ATTUALI REALTA' -

4 ottobre 2008

di Claudio Alessandri

Bruno Caruso è tornato a Palermo lo ha accolto nel tepore di un bozzolo setoso colmo d’affetto e di riconoscenza ricambiando il suo mai domo amore per la Terra natale dalla quale si è staccato dolorosamente tanti anni addietro, salutando Monte Pellegrino, ultima propaggine della “sua” città combattuto fra sentimenti d’amore e di odio per il tanto che gli aveva promesso e per il poco che gli aveva dato.

E’ l’opulenta Roma lo ha accolto, ispirato, mai dimenticato del suo mare dai colori cangianti, della flora prorompente, della sua gente dai lineamenti “nobili” di chi è conscio di discendere da semidei.
 
L’Assemblea Regionale e la Fondazione Federico II hanno quindi ospitato la sua antologica, nello stupendo spazio della Sala del Duca di Montalto presso il Palazzo dei Normanni, composta da cento disegni, solo disegni, molti dei quali ravvivati dal colore che coprono un periodo che va dal 1940 al 2004, sapientemente e coerentemente coordinati dai direttori artistici Laura Romano e Lorenzo Monteleone.
Tutta l’opera di Bruno Caruso, fin dai lontani esordi, è accompagnata da una “colonna sonora” avvertita nel più segreto intimo dell’osservatore che delle opere di questo straordinario artista si espande e penetra i più segreti recessi dell’animo umano.

La musica è grave, è triste nell’accompagnare la visione dei palazzi sgretolati dai bombardamenti alleati del 1943 che infersero distruzione e morte impietosa a Palermo, già mortificata ed offesa dalla miseria atavica, il disegno raffigura i palazzi crollati nei minimi particolari, quasi mattone per mattone, non puntiglioso accademismo, ma ossessiva memoria da serbare nella mente quale monito per le generazioni future, ma tutto è stato inutile.

Adesso le note seguono un andamento severamente geometrico, innumerevoli tavole di legno stipate in grandi magazzini, percorrendo un ritmo costante o spaziandosi in coerenti pause, in attesa di divenire mobili preziosi a perpetrare la sapienza e l’abilità di ispirati ebanisti.

Gli anni sessanta si popolano di dame pretenziose, le teste “preziose” sormontate da “trionfi” di capelli, indossano pellicce dei più svariati felini e di questi assumono lo sguardo e la positura, grottesche imitazione di creature sublimi per bellezza e corporale armonia, uccise per la felicità di insulse ma, ricche, nobildonne.

Nel sofferto periodo dell’incarico a Caruso di ritrarre la vita dei ricoverati presso il manicomio, per motivi di studio, l’artista colse l’aspetto esteriore, ma cercò febbrilmente i contenuti di anime sconvolte dalla sofferenza. La mano sapiente di Caruso ha dato forma alla pazzia, i personaggi da lui rappresentati, mostrano sul volto i segni inconfondibili della demenza, ma la tragicità di quella condizione è esasperata dalla coscienza della solitudine. Quegli esseri “diversi” che provocano disagio o paura, riassumono nei disegni di Caruso la loro primigenia dimensione umana per reclamare, non mendicare, il diritto all’esistere che nessun comportamento può ben negare.
La pazzia è per Caruso uno stato di vita larvale, una parentesi di incosciente vitalità, una realtà dolorosa che non è priva però di aspetti ironici ed insieme rivelatori, uno stato di semi beatitudine nel quale tutti i sentimenti e i desideri sordidi e nascosti, si rivelano e si attuano senza pudore, un ritorno all’iniziale innocenza, uno specchio inquietante per noi “esseri normali”.

Gli aspetti mitologici colti da Bruno Caruso, non di rado, invadono il presente sovrapponendosi a lui. Le sue fanciulle guardano con sguardo trasognato verso un orizzonte invisibile a noi, ma avvertito e sofferto dall’artista che percepisce anche l’invisibile, molte volte, a lui s’ispira nel tentativo altruistico di coinvolgere il comune spettatore in quell’aura di beatitudine che solo lui avverte e traduce in pittura.


 
La piovra, simbolo, da sempre di incubo, terrore per l’orrido e l’ignoto, ghermisce il corpo di una giovane fanciulla che si offre allo sguardo in tutto lo splendore della sua nudità e lo trascina inesorabilmente verso l’abisso, il suo volto è stravolto dall’orrore, dal terrore, di una fine imminente, i lunghi tentacoli avvolgono il candido corpo in un abbraccio bestiale, un tentacolo del mostro accarezza impudicamente il “grembo” che si offre, incolpevolmente, indifeso ed ecco, il viso della fanciulla, prima stravolto da un’atavica paura, adesso sembra trasformato da un espressione di orgasmico godimento, è una smorfia ingannevole di infinito dolore per una violenza mentale e fisica che accomuna milioni di donne in tutto il mondo?Il piacere e il dolore si sfidano in un duello “biblico” e le gioie e le ambasce dell’uomo si annullano in un pensiero teologico che non conosce debolezze e tentennamenti e si sublima in un amore universale, soprannaturale.

La mia non è incertezza comprensiva, ma pudore di dare un’interpretazione tanto difforme ad un momento di fremente ispirazione artistica che solo Caruso ha il diritto di rivelare… se lo riterrà opportuno, e poi le cassette e i cesti ricolmi di fiori, di farfalle e di conchiglie, qualche volta porti all’osservatore da fanciulli dai grandi occhi, neri come olive, espressione evidente di una sicilianità mai spenta nella mente e nell’anima di Bruno Caruso.

Non mancano i ritratti di personaggi famosi in tutto il mondo nell’ambito della narrativa o del teatro, quali Pirandello, Moravia ed altri.

Le grandi serre racchiudono un mondo di struggente bellezza pur nella fragilità temporale… colori, umori, forme si concentrano in un tripudio di immensa gioia rivivendo nell’abilità pittorica di Caruso che trova un sigillo negli immensi “ficus” che protendono le loro radici aeree verso la terra, è evidente la materializzazione del desiderio dell’artista di tornare ad “affondare” il suo spirito nella Terra natale, lontana per troppi anni, ma mai obliata.

E’ probabile che Bruno Caruso nell’evoluzione della sua pittura ci offra, in futuro, altre sensazioni, altri palpiti di commuovente liricità, ma intanto e questo è un dato inconfutabile, ci ha offerto con questa antologica delle sensazioni esaltanti, commuoventi, irritanti, provocanti e, tutto ciò, sostenuto da una tecnica pittorica di rara sapienza, non accademica, ma scaturita dal suo sentire ed interpretare quello che molti di noi vivono giornalmente, ma supinamente ignorano.

        Claudio Alessandri

 
       

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