Antonino Perricone, di formazione autodidatta, è sempre stato uno “stimolatore” del mondo artistico palermitano, compito non agevole e, alle volte anche controproducente, nel pungolare artisti, più o meno noti, pervasi da quello strano maleficio che li spinge ad “eterna lamentazione” pur rimanendo sopiti in quell’atmosfera apatica, sonnolenta di coloro che vorrebbero godere di grandi affermazioni, artistiche ed economiche per “meriti acquisiti”, da che? Non lo chiedete, vi risponderebbero con argomenti pseudo filosofici e motivazione colme di vittimismo dannoso ed improduttivo.
Perricone non ha mai fatto parte del gruppo dei “Piagnoni” anzi, ha sempre cercato di rivitalizzare un ambiente, quale quello siciliano, per molti versi indolente, ma anche il sospettoso verso qualsiasi novità e iniziativa o, ancor peggio, sempre sospettoso per possibili raggiri ed invidioso dei suoi colleghi, dei loro successi, della notorietà guardati con il sospetto di misteriose “combine”.
Perricone, negli anni in cui ho seguito la sua attività con assiduità, si è sempre dedicato alla ricerca di nuove espressioni stilistiche, rimanendo comunque per lungo tempo nel campo dell’informale, ma un informale coerente sia graficamente che cromaticamente dando vita ad immagini che ho sempre considerato l’espressione più evidente del dinamismo di questo artista dal perenne rincorrere movimento e luce.
Nella mostra attualmente in corso presso il foyer del teatro “Spicuzza”, Perricone è giunto ad un informale maggiormente accentuato, ma sempre più godibile e stimolante nell’interpretazione; il dinamismo permane, forse meno “disegnato” che in precedenza, ma probabilmente per questo più svincolato da pastoie o schemi che, a lungo andare, avrebbero corso il rischio di divenire ripetitivi, smarrendo quel procedere rapido e vitale che Perricone non vuole e non deve abbandonare.
Il rapido evolversi del segno, sottolineato da colori di tonalità violenta, rosso lavico, giallo sulfureo, verde delle immense distese di terre ubertose e il blu del mare profondo che richiama alle menti immagini di creature fantastiche, orrende o bellissime, al pari della natura contraddittoria della Sicilia, madre e matrigna, da amare o da odiare, ma sempre ultimo, caldo rifugio dove trovare ristoro al vorticoso mondo che, se osservato attraverso lo sguardo di un’artista come Perricone, perde di virulenza e risuona di melodie perdute nei lontani giorni dell’infanzia e ritrovate nell’esaltazione di un attimo, ma sufficiente a donare speranza nel proseguire quel viaggio iniziato millenni addietro e che, ancora, rimarrà misterioso nel rivelare la definitiva meta.