- AURELIO CARUSO … QUEL LAMPO VERMIGLIO
E .. un giorno correrò ancora
su prati verdi
tenendo stretto in mano un
raggio di sole …
Le recenti realizzazioni pittoriche di Aurelio Caruso, imprigionano dolcemente i nostri pensieri, conducono a visioni di una natura riaffiorata alla memoria, il ricordo dolcissimo di un mondo “magico” del suo vivere, quando incantato dalla visione di paesaggi che credeva ormai perduti, inghiottiti da una selvaggia cementificazione, ha deciso di fissarli sulle sue tele, irresistibilmente spinto da un fervore febbrile, dolorosamente consapevole che quelle visioni, di una Sicilia profonda, sarebbero rimaste un dono irripetibile, prezioso ma destinato ad un tragico destino di imminente, irrimediabile, triste oblio.
Il gioco cromatico di Aurelio si avvale di pochi pigmenti, verde variato in infinite sfumature, velature sapienti a creare quei contrasti che divengono indispensabili a conferire profondità al paesaggio, alle colline dolcemente degradanti verso prati smeraldino, interrotti da valloncelli dorati, dove si suppone il germogliare del grano quando, gravato da ricco frutto, attende la falce per compensare la fatica dell’uomo di antica sapienza.
Le colline trasudano colore che dilavando sembra premonire il lento scomparire di un mondo colto nell’attimo del suo massimo splendore e che, adesso, tradito da una umanità pervasa da parossistiche pulsioni distruttive, si sottrae ad una fine di degrado mentale e spirituale.
A questa conclusione non giungiamo per caso, infatti quel lampo vermiglio che, con frequenza, si nota nei dipinti di Aurelio, apparentemente dissonante con l’insieme cromatico, è stato cagione di svariate interpretazioni, non confermate né smentite dallo stesso artista, un gioco gioiosamente “irritante”, uno stimolo poetico disvelarsi dei sentimenti più segreti alla ricerca di una realtà effimera “umanizzata” da un onirico rapporto col segreto del proprio esistere.
Noi abbiamo fagocitato mille pensieri in un osmosi esaltante e, alla fine, si è fatta strada, nella nostra mente, un’idea martellante, ossessiva, che ancora non ci abbandona; quella timida apparizione di vivido rosso è “una ferita della terra”, una ferita inferta con cruda violenza ad una natura immune da parossismi speculativi che, presto rimarrà un ricordo, un languido ricordo di un mondo dal quieto incedere al ritmo suadente di un armonico alternarsi del sole ustionante dell’estate, alle neve protettrice dal gelo mortale, dal risveglio sognante della primavera, al commovente declino dell’autunno.
Il cielo di Aurelio Caruso, nella quasi totalità dei suoi dipinti è di colore grigio, talvolta animato da timide nubi bianche, lontano dall’azzurro intenso del panorama siciliano, eppure reale nella tragicità del silenzio che pervade colline e dirupi che accolgono siepi ed ombrosi alberi a celare uno “spicchio” di orizzonte, forse, proprio dove la presenza umana altererebbe un’armonia che s’inebria di quiete serena, lontana dal fragore che Aurelio rifugge come presenza irritante e disarmonica.
Tutto nella pittura di Aurelio Caruso richiama armonie di un passato obliato, ricordi struggenti di accadimenti che permeano la vita di qualsiasi uomo, e a maggior ragione di un artista che vive di intime sensazioni, di commuovente nutrirsi di “infinito amore” riservando sul prossimo con la sua arte, sentimenti di pace ed armonico vivere in una natura spiritualmente ritrovata, seppure perduta in una realtà che sembra volere “schiantare” ogni speranza in un futuro pervaso dal dolce colore di un’aurora infinita.
Claudio Alessandri, L’ISOLA DEL SOLE, periodico mensile – Luglio – Agosto 2001