admin

Testi

- PAOLA RAFFA: QUANDO L'OBIETTIVO FOTOGRAFICO GENERA OPERE D'ARTE.

 Nella prima metà del XIX secolo i pionieri della fotografia puntarono i loro primitivi obiettivi verso paesaggi campestri, marini e urbani; non mancarono ovviamente i ritrattisti che ci hanno tramandato le sembianze di nobiluomini impettiti, offerti volentieri alla nuova fantastica invenzione, con i loro imponenti baffi a manubrio, bombetta d’inverno e paglietta d’estate, bastone di bambù puntato saldamente per terra a guisa di “scettro”. Le dame pretenziose si mostravano con noncurante civetteria esibendo splendidi abiti arricchiti da pizzi e da trine, vezzosi ombrellini, anch’essi di pizzo, eteree tele di ragno a difesa del loro candido incarnato, allora richiamo irresistibile agli oziosi fumatori di spropositati sigari cubani, bevitori di “assenzio” che contribuiva a stordire le loro, già fragili, coscienze, incuranti nel dilapidare, con nobile noncuranza, immense fortune economiche. Eravamo in un momento cruciale per la storia dell’umanità: era iniziato un processo crescente di “democratizzazione” agli albori della “rivoluzione industriale”. I grandi pittori ritrattisti di quel tempo si trovarono spiazzati da quella inattesa e “subdola concorrenza” che, non avvertita dai più, segnava la fine di secoli d’arte figurativa, preziosa, costosa ed espressiva, seppur soggetta ad una “selezione” intimistica.

Un ritratto fotografico costava parecchio denaro, ma esercitava sui più un’attrazione irresistibile e così avvicinava inesorabilmente anche i meno abbienti, disposti al sacrificio economico pur di immortalare la riproduzione delle proprie sembianze; ciò era fantastico, e destinato ad un avvenire interminabile, ma … fra i capolavori pittorici di un tempo e la “nuova arte”, esisteva un gigantesco ... ma ...!    La riproduzione fotografica, per lungo tempo, non fece altro che “scimmiottare” la realtà; nessuna fantasia, nessuna originalità, nessun palpito a destare sentimenti di commuovente liricità: solo patetici ricordi che, nel tempo, ingiallivano appesi ai muri scrostati di vecchie case alla flebile luce di lampade che, parevano, tristemente, votive. Era inevitabile, con il progredire dei mezzi tecnici, un cambiamento radicale, sia della fantasia (già prorompente) che culturale e di pensiero, che seguiva il progredire dell’alfabetizzazione di grandi masse popolari ancora notevolmente legate ad un mondo essenzialmente contadino. Il senso del bello era innato ma, fino a quel momento, relegato alle classi più abbienti, istruite, educate al bello, all’estetismo che superava i canoni di una classicità che, fino ad allora, aveva prodotto all’infinito copie dopo copie dell’arte figurativa del passato. La fotografia non poteva non risentire di quei mutamenti e, a sua volta, divenne un’arte raffinata, alla continua ricerca di nuove soluzioni, strettamente legate a vari movimenti artistici prima europei e, poi, mondiali.  Non mancarono esempi famosi, ancora oggi osannati come pietre miliari dei vari movimenti derivanti da vere e proprie tendenze letterarie, esempio immortale il tedesco Wilhelm Von Gloeden (1856 - 1931) famoso per le sue “pose” classiche di giovani fanciulli a Taormina, dove si era trasferito per motivi di salute e dove trovò la luce ideale per le sue immagini.

Espressione evidente di un romanticismo decadente che derivava, a sua volta, da un classicismo privato dalla purezza d’animo ed intriso da una atmosfera “pesantemente” equivoca. Giuseppe Verga, fiaccola vivida del verismo, trasferiva dai suoi celebri romanzi all’immagine fotografica i primi palpiti di una coscienza sociale commuovente, accusatoria, inizio, senza fine, di mutamenti. L’arte della fotografia attraversò, come vento impetuoso, rivoluzioni, guerre, terremoti distruttivi, sciagure terrificanti; una lucida testimonianza di un mondo in tumultuante mutare ma, l’ispirazione artistica degli inizi pionieristici, non andò smarrita, anzi divenne il mezzo espressivo di molti fotografi che fecero dell’immagine fotografica una insostituibile espressione del loro “modo di vedere”. Senza accorgercene, giungiamo ai nostri giorni ed a conferma di quanto scritto fin ora, osserviamo le realizzazioni fotografiche di Paola Raffo. 

La sua tecnica è già stata utilizzata varie volte per ottenere dei risultati sempre diversi, ogni volta sorprendenti ma, nelle opere di Paola Raffa, scorgiamo qualcosa che va al di là della tecnica pura. I suoi “scatti” rivolti al tubo catodico televisivo, tolgono al mezzo inanimato l'asettica riproduzione di immagini e di colori: forme indistinte si accostano, si sovrappongono, dando vita a sfumature dai risultati cromatici eleganti, attraenti. Lo sviluppo fotografico, spinto al massimo sopportabile, al fine di non divenire caos incoerente, evidenzia la “puntinatura” che compone l’immagine televisiva, quasi a riproporre la tecnica dei “puntinisti”, funambolici creatori di milioni di punti di variato colore, accostati l’uno all’altro fino al comporsi di un’immagine definita, se osservata da una idonea distanza. Ed è il caso di ricordare che già Michelangelo, nell’affrescare la celeberrima, Cappella Sistina, in un impeto di “follia creativa”, adottò questa tecnica nel dipingere il viso di un personaggio dannato al fuoco eterno. Milioni di microscopiche “pennellate” che la miniaturizzazione della tecnica elettronica ha permesso, si trasformano negli “scatti” che la poesia ispira a Paola in irripetibili sensazioni di bellezza, una esaltazione fremente che ipnotizza l’osservatore, catturandolo, ma non stordendolo. Paola Raffa persegue così risultati armonici, esaltanti nella felicità e nella quiete, di puro effetto cromatico, cogliendo l’immagine in un attimo indefinito, in un luogo misterioso, coagulando, in “macchie” fantasmagoriche, atti di violenza indicibile o splendide creature dai corpi flessuosi, paesaggi marini che “odorano” di salsedine, tinte scarlatte di sangue sull’asfalto a rappresentare la fine tragica di una vita che scompare, senza un lamento, senza un perché....   

Il tutto nell’indifferenza di una umanità che l’abitudine all’orrido ed al dolore altrui ha “disarmonizzato”, in un processo inarrestabile che tarla ogni forma di sensibilità, diabolico pedaggio ad una globalizzazione che, invece di avvicinare il proprio prossimo nell’amore, lo pone in costante, cieco conflitto, in un vortice di violenza e di anarchia che otterrà, al fine, quello che mai ci si sarebbe dovuto aspettare da un “mondo nuovo”, ovvero la fine di ogni afflato umano smarrito nelle spire dell'egoismo più sfrenato. In Paola tutto ciò viene sublimato in visioni di infinita armonia, uniche nel soggetto, irripetibili, in quell’attimo che l’ispirazione “costringe” l’artista a generare quel fatidico “clic” del diaframma che può catturare immagini sublimi, come quelle di Paola, o banali; banali perché il mezzo tecnico è identico per l’artista e per il dilettante. La diversità dei risultati è però evidente ma non per questo avvilente: l’ispirazione potrebbe essere identica, ma la scintilla del “genio creativo” appartiene a pochi; al dilettante rimane il compito, non indifferente, di perpetuare quel primo, fatale scatto, testimonianza della realtà; ma ovviamente non pretenderà di aver creato un capolavoro! In Paola Raffa si scorge l’evidente dinamismo, la capacità artistica che rifugge il banale per “emozionare” l’osservatore, costringerlo a riflettere e a pensare che oltre l’evidenza esistono tanti altri mondi che la nostra “retina” non può percepire, elaborare; mondi che anticipano il tempo in un divenire esaltante di “scatti” mentali ai quali nulla è proibito. Del resto tutto è concesso nell’esaltazione del pensiero creativo, agli artisti che, con un luccicante obiettivo, “dipingono” l’invisibile, nella speranza che, anche chi non è amante dell’arte, si impadronisca di sensazioni e valori che una “scintilla” scoccata da distanze siderali, ha raggiunto in quel piccolo nascondiglio celato nel più profondo dell’anima a disvelare la nostra “creazione” soprannaturale.
                                           Claudio Alessandri

- PAOLA RAFFA: QUANDO L'OBIETTIVO FOTOGRAFICO GENERA OPERE D'ARTE.