- PINO PINGITORE, ARCHITETTURE DI LUCE di Claudio Alessandri
Lo svilupparsi armonico delle ampie campiture alle quali il sapiente cromatismo conferisce liricità è per Pino Pingitore, il naturale evolversi del suo primigenio mondo espressivo fatto di ponderati tratti di una grafica ispirata, ambito ristretto di una espressività legata ad una fantasia propensa a valicare ogni concretezza per perdersi in un mondo poeticamente osservato, un tuffo rigenerante al di là del “banale” visibile.
Delle precedenti esperienze artistiche è lo stesso Pingitore che ci consegna una lucida testimonianza di una elegante prosa; tra l’altro, leggiamo: “Dopo un periodo di astrattismo geometrico, con sconfinamenti nel neoplasticismo, dovuto anche al mio lavoro di grafico, cominciavo ad avvertire l’esigenza di operare in una direzione meno rigida, meno meditata, più spontanea, che fosse cioè frutto di una liberazione, di una esplosione interiore. Quasi naturalmente la ricerca cominciò ad evolversi verso poetiche neoinformali, …”. Nelle opere di Pingitore è subito evidente la ricerca “commossa” della luce, elemento caratterizzante ed indispensabile per fare emergere trasparenze cromatiche negate ad una tavolozza di traboccante cromia, probabilmente accattivante ma priva di quell’istinto creativo che fa di un buon pittore, un artista, capace di scorgere l’irraggiungibile, dono impagabile di scrutare lucidamente il “regno” della propria fantasia. E per Pingitorela luce è dentro di sé; la sua ispirazione non deriva da modelli già visti, lontani ispiratori di soluzioni scolastiche: è un “soffio” vitale, naturale, come sorridere, respirare… vivere. Le stesure possenti si animano in un tripudio luminoso, essenziale alla vita delle sue opere, ancor più del colore, peraltro parcamente cercato, filtrato in tonalità di quiete serena, non pulsioni catastrofiche ma sogno di una natura rigenerata che ripudia il “frastuono” di un cromatismo invadente.
Rossi violenti si ingentiliscono nell’incontro con azzurri pacati, nero e verde si susseguono, si sovrappongono filtrando “varianti” opalescenti in un ispirato desiderio di luce vivificante a “snidare” le ombre che, acquattate in angoli irraggiungibili, tessono racconti di paure ancestrali; lame di tagliente luce solare illuminano cupe campiture di bruno terroso, rivitalizzanti un torpore interiore che intristisce e mortifica ogni desiderio di vita serena. Il “sortilegio” operato da Pingitore ci consegna un mondo ritrovato, sottratto ad una involuzione frutto di pulsioni distruttive di una armonia primigenia consegnata agli insulti di un frainteso modernismo che ha inaridito le coscienze di una umanità tesa, ottusamente, verso valori di sola apparenza, vuoto simulacro rimbombante il “nulla”, negazione di quel messaggio di “nuova vita” che Pingitore, con le sue opere, insinua quale “urlo” inquietante, “squassante” una mortalità messaggera di cristallizzante immobilità e di insensato oscurantismo.