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- SALVATORE CAPUTO E ... SICINDUSTRIA

 Nell’ammirare le splendide immagini pittoriche di Salvatore Caputo che fanno bella mostra sulle copertine di Sicindustria” periodico del Gruppo Editoriale D’Agostino, ci siamo chiesti se è possibile conciliare una realtà industriale siciliana e non, con la rappresentazione di immagini che hanno per soggetto monumenti o paesaggi della nostra Isola.

Salvatore Caputo fuga ogni dubbio collegando “l’intelligenza”industriale con la scintilla che ha illuminato ed illumina la mente di uomini il cui genio era ed è riservato esclusivamente alla bellezza ed all’armonia, non disgiunta dal fervore produttivo che è vita concreta, ma anche fantasia e rapide soluzioni creative, emanazione entrambe, quindi, di intelletti dinamici anche se con finalità, solo apparentemente, diverse.


Salvatore Caputo ha compreso chiaramente questo collegamento osmotico ed ha dato vita a realizzazioni pittoriche che, pur rimanendo fedeli al suo operare di un sognante surreale, ha rappresentato monumenti siciliani di varie epoche, ricchi di storia, ambasciatori che giungono da epoche lontane, a narrarci del fervido operare di uomini che hanno dato concretezza ad una “sicilianità”che è intelligenza, intuizione, voglia di fare a dispetto di enormi difficoltà ambientali e storiche.

Nell’osservare “tramonto sul sacrario dei caduti di Catania, si rimane, per un attimo, sospesi tra ricordi dolorosi ed intima nostalgia nel ricordo commosso di uomini che alla propria patria hanno donato il bene più prezioso, la vita, fondando sul loro sacrificio l’avvenire di una Terra a volte “amara”, ma sempre amata nel ricordo di una realtà felice.


Osservando le copertine di “Sicindustria”, ha inizio un percorso di “conoscenze” storiche, ammiriamo infatti, l’elimo tempio di Segesta, solitario santuario di divinità mendaci che il sole del tramonto “dipinge” di rosa, il tufo poroso delle possenti colonne, abbandona il caldo colore naturale, per salutare un altro giorno che va ad aggiungersi ai millenni di quelle splendide vestigia.

Il “Duomo di Monreale”riconduce ad una Sicilia normanna, ad una età felice quando l’Isola fu prospera di iniziative culturali e mercantili, una severità costruttiva che contrastava apertamente con un tenore di vita ereditato dal mondo arabo, spiritualmente estremo, umanamente ludico.

Le grezze superfici murarie del Duomo di Monreale occultano uno scrigno di infinite bellezze, uno sfarzo di ori, di turchesi e di marmi preziosi che Caputo non ignora, ma che privilegia uno allo sfarzo, la semplicità di linee architettoniche che nella semplicità delle volumetrie trovano l’orgoglio costruttivo di aver creato un capolavoro che la semplicità non offusca, anzi nobilita e impone al mondo ammirato.

Il “Teatro di Taormina”, scenografia irripetibile immaginata e realizzata per bellezza da Greci e Romani che, nel tempo ha immortalato le “tragedie” di ogni epoca su un fondale che toglie il fiato incomparabile per bellezza incomparabile e per l’ammonitore cono dell’Etna che, a breve distanza, si staglia in un cielo di azzurro cheto “popolato” da una leggiadra nube che adombra il “burbero” ammonire del gigante che riposa le possenti membra sempre pronte a lanciarsi in laceranti ire, messaggere di morte e sicura distruzione.

Anche in questa rappresentazione di bellezza e timore reverenziale, Caputo ha saputo selezionare le pigmentazioni con una abilità sensoriale che sbalordisce ed affascina, sono i colori reali della Sicilia, di una Sicilia dolce ed aspra, commovente ed irritante nel narrare figurativo di questo straordinario artista.

Tindari con il suo alto santuario, ha racconti di fede e di sofferenza, di realtà e superstizione, alta propaggine a strapiombo sul mare, ultimo ricordo di quei Nebrodi che videro i giuochi fanciulleschi di Caputo, gli urli gioiosi, prima che una realtà crudele lo strappasse alle sue origini, mai negate e sempre languidamente riposte in seno. ” Il Castello di Milazzo”, in parte diruta fortezza, riconduce a giorni cupi quando la forza prevaleva sulla ragione; i cannoni tuonavano e l’olio bollente “pioveva” su urlanti guerrieri della “Mezzaluna” o indifferentemente “Crociati”illusi di guerreggiare per un “loro” Dio, non certamente il predicatore di pace che ha abbagliato il mondo con la Sua luce.

Potremmo continuare ancora ad elencare e commentare le innumerevoli opere di Salvatore Caputo, ma a che scopo, non faremmo altro che ribadire le nostre iniziali affermazioni; anche il dipingere può essere attinente, nei soggetti rappresentati, all’attività di una illuminata industrializzazione, ogni iniziativa, purché produttiva, è al servizio dell’uomo, delle sue esigenze sociali ed intellettive, di sopravvivenza e d’armonia.

L’operosità umana è stimolo e motore per la creatività e di conseguenza, l’industria, in senso lato genera lavoro mentale e fisico, la pittura esaltazione dell’intelletto e godimento interiore di chi interpreta il lavoro come emanazione nobile di una umanità finalmente vinta da pulsioni di pace e armonia.

           Claudio Alessandri

Sicindustria, periodico di politica economica industriale
Novembre – dicembre 2001

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