- VINCENZO NICCI – LA POESIA DEL PAESAGGIO
Vincenzo Nucci “poeta straordinario del paesaggio”, le sue opere si compongono, quasi sempre, degli stessi elementi, ci riferiamo ovviamente agli ultimi anni di attività di Nucci, elementi non ripetitivi, un paradosso che sottolinea la bellezza rinvenuta in soggetti, paesaggi e natura, che confermano una idea ispiratrice che non è solamente un pensiero, ma è principalmente il coinvolgimento emotivo dell’artista assorto in pensieri che attingono pathos da un mondo ormai vissuto e che può tornare solamente nel sogno, un felice ricordo che scaturisce dalla nebbia di un trepido trascorso.
Le opere di Nucci, oli e moltissimi pastelli, richiamano a una comune memoria, luoghi e atmosfere che anche io ho vissuto in giorni molto lontani e in luoghi cristallizzati nella mia memoria, ville padronali si intravedono al di la di un muro che, in parte, nasconde un mondo segreto, intimo, fatato che non potrà mai essere violato da uno sguardo ignaro delle tante storie che quel luogo raccoglie e consegna a teste incanutite dal tempo.
Nucci, è indubbiamente un figurativo, probabilmente uno degli ultimi rimasti nel vasto mondo dell’arte, ad altissimi livelli, ma la sua figurazione si mostra con pudicizia, nessun frastuono cromatico, ma intimo, come può esserlo solo uno sguardo innamorato, una narrazione commuovente pervasa dalla melanconia, non si tratta di un sentimento fragile, anzi, possente risuonare di melodie antiche filtrate dal tempo, corrose dal vento e dalla pioggia, eppure vive e palpitanti nel rosso del sangue delle buganvillee, dai fiori che forano il verde intenso del fogliame.
Gli alti muri posti a schermare il giallo tufaceo delle ville che accoglievano l’allegra spensieratezza della novella estate, oggi si oppongono agli sguardi indiscreti per non rivelare la solitudine figlia di un mondo smarrito, forse ingenuo nei desideri, ma felice di potere respirare il profumo del mare, il frusciare sommesso delle alte palme accarezzate dal vento caldo dello scirocco, forse un messaggio della vicina Africa dalla quale provengono e che ricordano alla Sicilia il tempo degli alti minareti, quando gli abitanti dell’isola godevano di quella stupefacente civiltà dissolta, nell’incomprensione e nella brama di potere e nel rimpianto dei poeti nati in Sicilia che, orfani, la cantarono con gli occhi colmi di lacrime, per una amante rapita ai propri affetti.
La buganvillee è l’unica presente invadente che, abbarbicata ai muri, richiama alla vita ricoprendo le orrende ferite che il tempo trascorso ha lasciato sulla pietra sgretolata dalle radici di erba famelica, adesso in quei luoghi è solo il rimbombo fatuo del silenzio che si posa come un sudario sulle membra amate di una splendida donna. Io come Nucci rivivo quei momenti, lui con la sua splendida arte pittorica, io nel ricordo di momenti che, seppur tristi, divengono lieti nella mia mente, ormai vinta dal ricordo, alterata dalla visione dei dipinti magnetici di Vincenzo Nucci.
Claudio Alessandri