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- TECLA A TAMARA

 Molte delle opere di Tecla Iraci sono ispirate alle opere di Tamara de Lempicka: opere che interpretano in maniera del tutto personale le tele della grande artista. Tali opere, racchiuse in un ciclo, sono diventate un significativo omaggio, quasi un segno di “amicizia artistica”. Dipinti che nascono da una ispirazione che, inizialmente casuale, è diventata percorso artistico proteso, per lungo tempo, a soddisfare un’esigenza avvertita con veemenza e portata a termine dopo lunga riflessione, una riflessione che ha saputo concretizzare una forte attrazione per un mondo lontano nel tempo, ma palpitante di fervidi interrogativi e vivace creatività. 
  Tecla Iraci, ispirandosi ad alcuni celebri quadri di Tamara de Lempicka, ha dato vita ad una rivisitazione delle opere della bellissima pittrice polacca che, come un ciclone, si abbatte sull’ovattato mondo artistico e mondano delle “Belle epoque”, sconvolgendo canoni esistenziali e culturali di un mondo, quello di inizio secolo, sonnolento, adagiato e cullato dalle luci sfavillanti, ma vacue, della “Vie Lumière”.  
I lavori della Iraci, pur rispecchiando la plasticità ed i colori delle opere di Tamara, si discostano da esse, innanzi tutto, perché vivono in una atmosfera pervasa da una “normalità” esistenziale che non è appiattimento, ma diversa concezione del bello e emanazione creativa di una visione intima di una sensualità che, nell’artista polacca, è ambigua mentre nella Iraci è vissuta con una naturalezza disarmante, cosa che finisce inevitabilmente per coinvolgere e condizionare.  Infatti Tecla, avvalendosi di una spontaneità che, non artificiosa, trasmette sensazioni di puro estetismo, è immune da atmosfere conturbanti di una umanità decadente, votata dall’autodistruzione, vittima di un giuoco affascinante che si reggeva e si regge sull’illusione ed il vuoto mentale. I quadri della Iraci impongono a Tamara uno stile realizzativo che smorza la mollezza dei corpi: i colori sono fedeli, ma l’espressione stilistica è legata alle esperienze precedenti; avvalendosi di inserimenti lignei in rilievo rispetto al supporto, Tecla scompone i corpi flessuosi in un evidente “post-cubismo” che non turba l’armonia delle forme, donando ad esse una tridimensionalità che rivitalizza una immobilità innaturale, esteticamente valida, ma lontana da una realtà che è dinamismo e non solo fermezza formale. 
La Iraci quindi, pur affascinata dai personaggi dell’inquieta artista polacca, non è vinta dal fascino conturbante che emanano immagini femminili dolcemente sognanti, o dal tenebroso sguardo “del viveur” che, lungi dall’essere “ammaliatore” denuncia il vuoto pauroso di un’esistenza dedicata al “piacere”, fatua sembianza di una felicità del tutto terrena. ...
           
 Claudio Alessandri

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