A cinquant’anni dalla sua scomparsa, Antonio Ligabue “il matto”, torna a Gualtieri, il paese emiliano nel quale ha vissuto per oltre quarant’anni, con una grande antologica allestita nello spettacolare Salone dei Giganti di Palazzo Bentivoglio, recentemente restaurato.In mostra circa 180 capolavori tra opere dipinti, disegni, incisioni e sculture in terracotta, ripartiscono la produzione di Ligabue in tre fasce cronologiche e ne ripercorrono i motivi.Gli animali, i paesaggi svizzeri e padani, i ritratti e gli autoritratti di uno dei più geniali e originali artisti del Novecento italiano sono liberati dall’etichetta del genere “naif” che troppo spesso ha accompagnato la sua opera.
Ha spiegato il curatore Sandro Parmiggiani: “L’opera di Ligabue ha finito per essere in parte oscurata dal racconto della sua vita, assolutamente eccezionale nella tragicità e nella sofferenza.Le ragioni dell’esperienza esistenziale sono sembrate inesorabilmente prevalenti rispetto a quelle artistiche. Ci si è dunque proposti di fare il percorso inverso: non dalla vita all’opera, ma dall’opera alla vita”.L’incontro con la pittura fu precoce e salvifico per Ligabue, dal 1920 in poi sarebbe stata la sua compagna di viaggio. Fino a destare l’interesse di altri artisti, critici e mercanti, che via, via lo sostennero. Ligabue fece nascere paesaggi feroci ed incantati, fiori e faune straziate da cromie accese, autoritratti e scene da fiaba. Nella sua tavolozza, Ligabue aggiunge ai colori inizialmente adottati nuovi gialli, blu e un magico rosso carminio, creando un fantastico repertorio di accordi cromatici che caratterizzerà la sua produzione degli Anni ’50. Uno dei temi caratteristici della sua pittura sono gli animali, spesso feroci, ma anche domestici. Centinaia di storie diurne, scavate nella notte della sua esistenza costellata di solitudini. Tanto erano brillanti le sue tele, tanto era mesta la sua condizione di naufrago.
La follia di Antonio Ligabue, nella fragilità che lo esponeva all’emarginazione: non avere un posto nel mondo, non conoscere il senso dell’affetto, non possedere una direzione. La sua pittura è fatta di storie di piante, animali predatori, contadini, storie di un mondo semplice, storie intrise di una bellezza antica.Nel 1962 Raffaele Andreassi gli dedicò un documentario, trasmesso in TV solo nel 1977. Una testimonianza preziosa, in cui dipingere è anche compiere un rituale magico prima di esporsi all’incantesimo della visione; in cui i versi degli animali prendono il posto delle parole. La sua pittura così ingenua e così feroce, mai abbastanza compresa.La vita di Antonio Ligabue: disperata, segnata da frequenti ricoveri in manicomio. Nasce a Zurigo nel 1899 da padre ignoto. La madre, a nove mesi, lo affida ad una povera famiglia svizzera, con cui avrà sempre rapporti difficili. Intanto la madre sposa Bonfiglio Laccabue, originario di Gualtieri, che legittima Antonio dandogli il proprio cognome e lo rende cittadino italiano, ma non lo accetta in famiglia. Anni dopo l’artista si prenderà la soddisfazione di cambiarsi il cognome in Ligabue.
Espulso dalla Svizzera, arriva a Gualtieri nel 1919, solo, senza parenti né amici, senza soldi e senza parlare l’italiano. La pittura sarà l’unico medicamento della sua tribolata esistenza. Dovrà aspettare il dopoguerra per avere una consacrazione artistica.Muore il 27 maggio del 1965, e seppellito nel cimitero di Gualtieri - sulla sua lapide viene posta la maschera funebre realizzata da Andrea Mozzali con la scritta “Al Matt" (il matto).
Antonio Ligabue – Palazzo Bentivoglio, Piazza Bentivoglio 36, Gualtieri (Re). Fino all’’8 novembre 2015. Info: tel. 0522.221869.