- IL CROCIFISSO MAIOLICO DI MONREALE E LA FESTA DEL 3 MAGGIO.
28 aprile 2010
di
Claudio Alessandri
Monreale è una delle numerosissime città d’arte che fanno dell’Italia un vero “museo a cielo aperto” amato e visitato da milioni di turisti, trascurato incredibilmente dalle autorità preposte alla conservazione e promozione di questo immenso patrimonio culturale ed economico. Monreale è sinonimo del celeberrimo duomo risalente al XII secolo, modesto “contenitore” dell’immenso tesoro contenuto nel suo interno, un’opera musiva di immenso valore artistico e storico voluto dal re Normanno Guglielmo II, detto “il buono”.
Giustificabile quindi al cospetto di tanta meraviglia non accorgersi dei monumenti che meritano attenzione presenti nella storica cittadina Normanna. Una distrazione della quale è bene liberarsi per godere molto altro “nascosto” nel centro storico, fra viuzze strette e misteriose, silenziose, che conservano ancora il fascino di un famoso centro medievale. Per sfuggire a quella specie malia voluta dal “Buono” dei due Guglielmi è sufficiente abbandonare la grande piazza, centro artistico, commerciale ed amministrativo di Monreale e perderci, senza una meta prestabilita, per le viuzze, ed è proprio in questo modo che ci siamo ritrovati al cospetto di in un vero e proprio capolavoro dell’arte figulina.
Appena sottratti dal centro storico, fra casupole fatiscenti, sorge il venerato Santuario della “Collegiata del SS. Crocifisso”; sulla sua abside esterna abbiamo notato un grandissimo pannello formato da mattonelle di maiolica policroma. Le sue proporzioni sono talmente significative da costringerci a fermarci che ci permettesse una ricognizione il più possibili accurata, raccogliendo nel frattempo, da alcuni abitanti notizie utili a tracciare un percorso storico-religioso di quel capolavoro. Originariamente quel pannello era formato da circa 1.500 mattonelle di cm. 18 per lato, per una superficie totale di cinquanta metri di ceramica policroma in maiolica. Abbiamo sottolineato all’origine non a caso poiché ad iniziare dal XIX secolo abbarbicate a quel capolavoro ceramico vennero edificate delle casupole che deturparono il pannello occultando gran parte della base.
La Soprintendenza ai Monumenti di Palermo, nel 1971 diede inizio ad un restauro risolutivo, vennero rimosse le casupole riportando alla luce la base del pannello, purtroppo l’azione della calce aveva danneggiato in maniera irreversibile lo strato ceramico di gran parte del monumento, la speranza di ritrovare una firma o un timbro del valente ceramista andò delusa, non scaturì nulla che potesse soddisfare l’esigenza di conoscenza degli studiosi. La stessa Sovrintendenza con i lavori eseguiti nel 1971 ha compiuto un’opera meritoria, ma nel contempo, mettendo in atto una di quelle iniziative che mai ci si attenderebbe da studiosi ed esperti d’arte, ha ritenuto opportuno porre rimedio a quell’orrenda ferita che deturpava gravemente la base del pannello. Ignorando ogni logica che richiedeva, anzi imponeva, un restauro conservativo, ha sostituito le mattonelle mancanti o irrimediabilmente deturpate, con altrettante improbabili repliche delle originali.
L’opera oltremodo ingiustificabile degli esperti della Sovrintendenza, non si è esaurita con quell’azione, ha avuto un seguito andando oltre, è stata applicato un cartiglio di forma ovale, anch’esso riportato sulle mattonelle maiolicate, nel quale si legge, a futura memoria del “misfatto”: Restaurato a cura della Soprintendenza ai monumenti di Palermo a.d. 1971”. Nel suo imponente insieme l’opera attrae per eleganza formale ed impatto cromatico, con evidente attinenza con le opere figuline dei grandi maestri di scuola siciliana del XV-XVI secolo. L’opera, si caratterizza nel suo insieme, da una cappella marmorea, dipinta, formata da due “pareste” con festoni composti da erba di verde caldo che evidenzia lo splendente giallo solare delle arance splendidamente disegnate, il disegno è completato da due volte poggianti su di uno “stilobate”.
La parte principale dell’opera che occupa il centro della cappella racchiude, in una cornice ad arco, racchiuso da un lussureggiante festone erboso, il Crocifisso si mostra racchiuso da un baldacchino di un azzurro delicatissimo, è tenuto dischiuso da quattro angeli; nei “rinfianchi” curvilinei sono rappresentati gli strumenti utilizzati per la crocifissione; a sinistra il martello, a destra i chiudi. Ai piedi del Cristo è raffigurato un teschio con le due tibie incrociate e in una visione fortemente contrastante con quei simulacri di morte, si staglia in un cielo azzurrissimo, l’inconfondibile paesaggio monrealese, l’abside del duomo e, in lontananza, a “chiostra” dei monti di verde lussureggiante. Nella zona sommatile dell’opera è dipinta una targa di forma ellissoidale, contornata da ricchi arabeschi, il tutto sormontato da una corona, è sorretto da due angeli. Sulla targa si legge: “Protegam Urbem hanc et Salvabo Eam Prpter Me – Reg. Cap. IXX .V. 34” . Il Cristo, offrendo la sua incommensurabile bontà morente sulla croce, si propone di salvare la città immolando se stesso.
La grandissima opera ceramica che, come già sottolineato in precedenza, ricopre una superficie di circa 50 mq. è la più grande realizzazione di questo genere in Italia. Questa splendida opera, occultata parzialmente da una collocazione che impedisce una visione completa e prospettica ha richiamato la nostra attenzione, senza dubbio per le proporzioni inusuali ma principalmente per la perizia artistica di uno sconosciuto ceramista (Giorgio Milone) occorrerebbe, uno studio approfondito condotto da esperti del ramo, è da notare che i più qualificati esperti nel campo ceramico fanno un breve cenno di questa opera non dimenticata, ma certamente colpevolmente trascurata. Ancora viva grazie al Cristo esposto all’interno della Collegiata, probabilmente opera del Gagini, al quale i fedeli monrealesi rivolgono la loro grande devozione con una festa grandiosa che si celebra annualmente il giorno 3 maggio. BlogSicilia articolo del 28.4.2010 blogsicilia