- ARTE SACRA NELLA PITTURA -
8 aprile 2010
di
Claudio Alessandri
Scrivere d’Arte Sacra non è agevole, ne dal punto di vista estetico ne da quello teologico . La rappresentazione sacra ha attraversato i secoli caratterizzando la storia del mondo cristiano, “percorrendo” fedelmente i vari cambiamenti che caratterizzano il cammino del mondo, dal gusto estetico, ai mutamenti politici.
L’iconografia sacra ha rispecchiato il pensiero teologico fin dal suo nascere; le immagini rigidamente ieratiche dei santi, del Salvatore e di sua Madre, belle e guidate da tradizioni “verbali” in rappresentazioni di un “sacro primitivo”, legato a regole che esprimevano simbolismi, tipici della complessa e formale iconografia bizantina che tutto codificava, dalla vita di ogni giorno, all’esecuzione pittorica di una immagine sacra.
I tempi però mutavano e con essi il gusto e fondamentalmente i canoni caratteristici della bellezza, da quella essenziale e pudica del Medio Evo, a quella dalle fattezze opulente, tipiche del Rinascimento, innovatore del gusto e della morale comune e, sempre cercando nuove soluzioni, alle volte cervellotiche, si è giunti ai nostri giorni ( informale, pop ) e non è ancora finita.
Posso affermare, senza tema di essere smentito, che nessun artista di arti figurative, si è sottratto nei secoli, al richiamo irresistibile della rappresentazione sacra, forse alla ricerca di quel “trascendente” che un artista avverte più di ogni altro essere umano.
Da qualche tempo è stato posto un interrogativo non di semplice soluzione e di notevole spessore, in sostanza l’arte moderna è contemporanea e ancora formalmente idonea ad essere ospitata in un luogo sacro? Molto tristemente si è giunti alla conclusione che, forse, l’arte attualmente espressa, non è in grado di esprimere e stimolare quella sacralità che, da sola, giustifica la sua esposizione in una chiesa; cioè se la sua attualità è tale da esprimere ancora i valori del sacro.
Non esiste una risposta definitiva su un argomento di tale gravità, ma non esprimersi non aiuta certamente a derimere un conflitto che è esploso certamente, in tutta la sua virulenza, con l’avvento dell’informale ed anche in seguito.
A nulla valgono le dotte dissertazioni di alcuni storici d’arte che giustificano ogni “emanazione” artistica con i “nobili contenuti” di supposto estetismo e neo-idealismo, veicolo indispensabile al recupero dello smarrito significato “socioantropologico e politico”.
Il processo di “modernizzazione” dell’arte, teoricamente concettuale, forse ha esaurito il suo compito o, come ebbe a sostenere un grande critico d’arte quale fu Francesco Carbone con un’iperbole che configura l’aspetto sgradevole dell’antropofagia … “Sono cadute le forti tensioni delle neoavanguardie artistiche”… “ma perché esse lavorano anche per la propria morte”…”. Si è sentito impellente il bisogno di riscoprire estetismi indispensabili, non solo alla comprensione, ma principalmente per una “piacevolezza visiva” tale da suggerire una quiete operosa dopo i sussulti parossistici di una umanità vittima del caos, non primigenio, ma foriero di una catastrofe imminente e definitiva.
L’invito a dipingere soggetti di carattere sacro “come si vuole”, non assume un senso qualunquistico solo se dall’opera scaturisce un’atmosfera, non limitata solo alla bellezza, ma anche ad una spiritualità che attrae molto più del senso estetico, riconducendo, finalmente al trascendente, riscoprendo quella “scintilla divina” che alberga in ciascuno di noi e che, alla fine, ci condurrà alla salvezza.