- IL VALORE DI UNA SCOPERTA
3 aprile 2010
di
Claudio Alessandri
Durante un mio soggiorno a Firenze di qualche anno fa, fu inevitabile percorrere le immense sale del museo più antico del mondo, gli Uffizi, e ancora una volta i capolavori pittorici esposti mi costrinsero a sostare, ad esaminare, a scoprire particolari che in precedenti “esplorazioni” mi erano sfuggiti.
Ero sovrastato da tele di grande formato, tutte bellissime ma all’improvviso, la mia attenzione fu catturata da un piccolo quadro, messo li quasi per caso, una tavoletta di m. 0,31 x m. 0,24, mi trovavo al cospetto di un capolavoro di Botticelli: “Giuditta”, quello che in quell’istante mi colpì, perché intimamente inaspettato, fu una considerazione che, me ne resi subito conto, era sciocca, eppure assumeva per me il valore di una scoperta, Botticelli aveva realizzato un capolavoro su una tavoletta di piccolissimo formato che però contendeva l’attrazione alle tele di ben più grande formato, un gioiello inestimabile racchiuso in breve spazio, quindi il “formato” diveniva un fattore secondario, del tutto trascurabile.
Oggi, che vengo chiamato ad interessarmi ad una mostra di sette artisti che si sono cimentati in opere di piccolo formato, fatte le dovute considerazioni riguardanti le diversità temporali, spaziali ed artistiche, riaffiora alla mia mente quel lontano ricordo che “condiziona” piacevolmente il mio giudizio.
S. Caputo, A. Caruso, G. Chiesi, A. Liberto, A.G. Perricone, G. Sucato e G. Uzzaco, danno vita ad opere, ciascuno secondo il proprio sentire artistico che, a dispetto delle ridotte dimensioni del supporto, esprimono una carica emozionale che catturerà, inevitabilmente gli osservatori ignari delle mie considerazioni intime e non teorizzabili, il loro sguardo e le conseguenti reazioni cerebrali ed emotive verranno sollecitate da immagini che riproducono la realtà, non banalizzata da una evidenza “di maniera”, ma la osserveranno con la fantasia che solo un’artista può trasmettere in impulsi di infinita bellezza, poco importa se con l’evidenza del figurativo, o l’ermetismo dell’informale, o il ponderoso concettuale, il sognante surreale.
Ogni opera è un mondo a sé stante, rispecchiando la variegata rielaborazione di una natura terrena o cosmica, che evidenzia la diversità di pensiero che, fortunatamente, investe una umanità apparentemente tutta eguale, illuminata però da una diversità che scongiura un appiattimento mortale, non foriero di ordine armonico, ma di algida fissità mentale e spirituale, una diversità ancor più evidente in un’artista, amplificata a dismisura da una sensibilità, alle volte dolorosa, ma appagante nel risultato artistico intimamente goduto, al di là del plauso del mondo che lo circonda, ma lo imprigiona e non lo potrà mai condizionare.
Ad avvalorare quando da me asserito, intervengono i sette artisti che hanno reso possibile questa mostra “diversa”, infatti hanno accantonato ogni riserva mentale per dare vita ad un confronto artistico dai pregevoli contenuti e dai conseguenti lusinghieri risultati; un atto d’amore che ha consentito e consente di guardare il mondo che ci circonda con gratitudine per il dono ineffabile del bello nell’armonia, dono che solo l’arte, intesa come carisma, può dispensare ad una umanità ormai vinta dal dilagante egoismo dettato da un frainteso modernismo che tutto “appesta” e degrada in un vortice di gretta indifferenza.