- NON TAGLIATE QUELLE RADICI. -
11 aprile 2010
di
Claudio Alessandri
A pensarci bene, tutto ebbe inizio tantissimi anni fa quando ero un bambino felice ed abitavo in un piccolo paesino non distante dal mare. Com’era per la maggior parte dei bambini di allora, il mio tempo scorreva sereno tra semplici giuochi e corse sfrenate per stradine sterrate o sugli scogli resi roventi dal sole di agosto. Quando mi facevo male per una caduta rovinosa era sufficiente un bacio di mia madre perché tornassi felice a tuffarmi nel mare che per me, nel ricordo, era sempre azzurro.
Ogni tanto però mi soffermavo a sfogliare l’abbecedario, non per studiare, per quello c’era sempre tempo, ma per guardare le figure e, come per incanto, venivo proiettato fra gli elefanti ed i leoni della savana africana, poi fra le splendide tigri del Bengala o tra le piramidi della lontana America e avrei potuto continuare per ore a viaggiare in tal modo se il richiamo irresistibile del giuoco non mi avesse sottratto a quei fantastici “sogni ad occhi aperti” che coinvolgevano la mente e l’anima, anche se allora “l’osmosi” era del tutto naturale.
Gli anni passarono inesorabili e, anche ad opporsi strenuamente, non riuscì “a rimanere bambino”. Iniziarono le prime difficoltà, i primi “veri dolori” e la conoscenza della morte, uno stato che quando ero bambino era talmente lontano dalla mia mente da divenire parte insignificante dell’esistenza.
Lo shock più grande però lo provai quando rividi le stesse immagini che tanto mi avevano attratto sull’abbecedario, non più bucoliche, popolate solamente da splendidi animali, ma anche da una umanità sofferente. Non potrò mai cancellare dalla mente l’immagine di una donna africana, emaciata, vestita di stracci, che teneva fra le braccia un esserino dalle membra scheletriche che cercava di suggere dal seno della madre l’ultima stilla di latte insieme all’ultimo anelito di vita e quella non fu l’unica immagine che pesò come un macigno sul mio petto.
Il primo pensiero fu quello che dovevo darmi da fare. Pensai di adottare uno di quei piccoli per dargli un futuro sereno, come lo avevo avuto io. Riflettei però, così facendo lo avrei salvato da una morte certa per fame, e tremende malattie ma contemporaneamente avrei sradicato un bimbo dalla sua terra togliendogli la possibilità di crescere nel suo Paese; lo avrei privato di antichissime tradizioni e di una cultura millenaria, dote indispensabile da “travasare” in un percorso di inevitabile progresso civile.
Mi arrovellai, mi informai sulle iniziative che mi era consentito intraprendere, fino a quando mia sorella mi parlò di una organizzazione che si occupava delle adozioni a distanza, cioè mi era consentito, con un irrisorio contributo periodico, di dare una speranza, una vita migliore ad un bambino che pur rimanendo nel suo Paese natale avrebbe goduto di una assistenza medica, culturale ed anche alimentare perché come dice un saggio detto italiano: “un sacco vuoto non può stare all’impiedi”.
Avevo trovato finalmente la via e l’imboccai immediatamente, pur convinto che nulla avrebbe potuto cancellare dalla mia mente quella mamma disperata e quel bimbo morente.Sono tornato a sfogliare l’abbecedario e adesso,insieme ai leoni, tigri ed elefanti, vedo anche dei bambini che rincorrono una palla di stracci ridendo felici come lo ero stato io, tanti anni fa.