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- LO STERI : BREVE RESOCONTO DI UN CRIMINE ARCHITETTONICO

7 aprile 2010

di Claudio Alessandri

 
Forse nessuna opera palermitana e siciliana in generale può vantare, al pari del palazzo Chiaramonte, altrettanto importanza per la storia della architettura della nostra isola.
Esso, come vedremo meglio in seguito, rappresenta il primo grandioso esemplare di una scuola stilisticamente originale, anche se figlia di soluzioni non nuove, uno stile composito insomma, eppure staccato definitivamente dalle esperienze straniere che concorsero indubbiamente, ma non determinarono, a dargli vita.
Le origini del palazzo dei Chiaramonte, detto anche dello Steri probabilmente dal latino Hosterium (palazzo fortezza), sono molto incerte, alcuni indicano come probabile data dell’inizio dei lavori di costruzione il 1307 per volontà di Manfredi Chiaramonte.
La notizia però, non confortata da documenti recenti recanti dati certi, ci lascia nel dubbio; anche la data del suo completamento, 1320, non può essere accettata con assoluta certezza, i dubbi che incombono sulle sue origini non possono che coinvolgerne il compimento.
Gabrici che ha scritto, in collaborazione con Ezio Levi, una magnifica monografia sul palazzo ed i suoi dipinti, avanza l’ipotesi certamente valida, che lo Steri non fu costruito in un'unica soluzione, ma al corpo principale furono aggiunte varie fabbriche nel corso dell’intero secolo XIV, ciò trova una spiegazione nei diversi usi ai quali fu adibito il palazzo dopo la morte di Andrea Chiaramonte, avvenuta per decapitazione nel 1392, come vuole la tradizione nell’attuale piazza Marina, proprio di fronte alla sua lussuosa dimora.
Ad iniziare dal 1517, lo Steri divenne sede dei viceré di Sicilia ed a partire dal 1601 del Tribunale del Sant’Uffizio, abolito nel 1782 dal viceré Caracciolo che, in seguito, fece bruciare tutte le suppellettili , le macchine di torture e l’archivio di quella “santa” istituzione che con diaboliche torture tentò, per secoli, di redimere migliaia di “peccatori”.
Quando il viceré Caracciolo diede l’ordine di cancellare con il fuoco le testimonianze dei crimini più efferati perpetrati in nome di Dio, commise un errore imperdonabile, giustificato dal sincero desiderio di cancellare per sempre le ingiustizie che per secoli avevevano fatto vivere nel terrore uomini giusti, il cui unico torto era quello di non sottostare ciecamente al volere dei potenti, ma non si rese conto che così facendo eliminava per sempre delle preziosissime testimonianze, sottraendole al giudizio della storia.
Da allora il palazzo Chiaramonte è stato adibito a svariati usi, per un certo periodo ha anche ospitato il Tribunale di Palermo, poi trasferito altrove.
L’architettura civile del secolo XIV in Sicilia, conta non pochi esempi dello stile chiaramontano, esistono costruzioni simili allo Steri ad Enna, Randazzo e Nicosia.
La munificenza dei Chiaramonte non si fermò quindi solo a Palermo, ma giunse anche ad Agrigento dove la grande famiglia fece costruire il monastero di Santo Spirito ed altri monasteri a Mussameli ed a Baida.
A giusta ragione l’architettura di questo secolo venne definita “chiaramontana”, la caratteristica più evidente di tale stile è l’influenza romanica e gotica, mista a stili locali derivanti dalla tradizione araba e bizantina. Lo Steri è degno di menzione non solo per il suo gusto architettonico che, come già ricordato, riveste una grande importanza per lo studio dell’architettura siciliana, ma anche per la stupende decorazioni e pitture che ornano il tetto della “Sala Magna”.
In Sicilia è molto diffusa la consuetudine di decorare i tetti delle costruzioni, sia civili che religiose, ed è probabile che tale tradizione abbia avuto origine proprio nel secolo XIV con lo Steri.
E’ innegabile, almeno per quanto concerne il palazzo Chiaramonte, che questo costume affondi le sue origini in Spagna, in Catalogna ed in Aragona abbondano i tetti piatti, con cassettoni lignei policromi, raffiguranti motivi umani, geometrici e floreali. Il tetto della “Sala Magna”, solo per ricordare l’esempio più significativo, ricorda in modo inequivocabile le decorazioni della Cattedrale di Toruel e quelle delle case di Barcellona e di Palma di Maiorca.
Gli elementi ed i motivi delle decorazioni dello Steri sono molteplici e di diverso genere: iscrizioni che generalmente riproducono versi del Vangelo, scudi, figure umane frammiste ad animali, scene amorose, giuochi, tradizioni leggendarie.
Osservando quelle immagini si ha l’impressione di scorrere le pagine di una fantastica enciclopedia medievale, importantissima non solo per la storia della pittura, ma anche come documento di storia della cultura.
Le opere pittoriche dello Steri oltre che risultare interessanti dal punto di vista artistico in generale, ci danno un nuovo esempio di espressione pittorica che rivela la grande arte degli umili e sconosciuti pittori siciliani, come nella costruzione dell’edificio si riscontrano le grandi doti delle maestranze isolane che diedero corpo ad uno dei più begli esempi architettonici d’Italia.
Lo Steri è andato incontro per alcuni anni ad un lento periodo di decadimento che ha prodotto gravi ed inevitabili guasti alle strutture esterne ed agli ornamenti interni. A questa lenta opera di disfacimento hanno contribuito in modo determinante gli uomini che, con interventi inconcepibili hanno compromesso definitivamente l’aspetto originale dello Steri.
A proposito dei restauri più recenti ecco come si espresse il prof. Giuseppe Spatriano che dell’argomento ha approfondito serenamente ed obiettivamente tutti gli aspetti, sia tecnici che critici compendiandoli nel libro “Lo Steri di Palermo e l’architettura siciliana del trecento”.
“Nel 1958 l’Assessorato Regionale per il Turismo, appena lo Steri si rese disponibile, né programmò il finanziamento, il restauro e la destinazione a palazzo dei Congressi e delle mostre, ritenendo di potere utilizzare, a spese della Regione, un monumento che formalmente appartiene al demanio dello Stato malgrado il dettato del decreto istituzionale della Regione Siciliana”.
Successivamente l’Università degli studi avanzò la richiesta di adibire i locali del primo piano a sede di rappresentanza del Rettorato, richiesta accolta favorevolmente dal predetto Assessorato.
Successivamente l’Università si dichiarò disposta ad assumersi l’onere del restauro integrale dello Steri, contrariamente all’Assessorato che si mostrò restio ad accettare le condizioni poste dal demanio dello Stato e cioè assumersi l’onere del restauro ed in più versare un canone simbolico per l’uso di alcuni ambienti. La ritrosia dell’Assessorato fu forse la causa prima dell’assegnazione all’Università dell’intero edificio e annessi e delle conseguente estromissione dell’Amministrazione Regionale.
“… Vennero in tal modo a crearsi le premesse per la formulazione di un esteso programma di restaurazione edilizia ed ambientale, al fine di raggruppare nella zona tutti i servizi universitari”.
“…E per quanto riguarda lo Steri, esso veniva esposto ad una operazione di restauro nella quale le esigenze pratiche avrebbero fatalmente assunto importanza primaria rispetto a quelle di ordine artistico e culturale. Ciò nonostante, la complessa problematica insita in questi casi, poteva trovare adeguate soluzioni se il restauratore avesse posseduto una coscienza critica che permettesse sicure scelte operative da adottare, nel rispetto dei molteplici valori che il monumento conteneva in se, e nella giusta considerazione delle necessità della rivitalizzazione a mezzo di appropriata nuova destinazione…”. “ … Il che non si verificò nello Steri, dove l’organo tecnico, ufficialmente preposto al restauro dei monumenti di proprietà dello Stato, progettò ed operò nei lavori eseguiti in modo, non solo duramente criticabile, ma decisamente delittuoso. Già il progetto rivelava la misura della indigenza culturale in cui versava il suo autore; tale è la superficialità, l’imprecisione, la rudimentale resa grafica del rilievo, e la stupefacente massa di errori e deturpamenti preventivati interventi, da lasciare sgomenti dinnanzi ad un simile pietoso elaborato…”.
Riesce perciò inspiegabile che esso abbia ottenuta l’approvazione, sebbene in parte condizionata, dal supremo organo cui spettava il giudizio finale in materia: cioè il Consiglio Superiore delle Belle Arti del Ministro di P. I.
Ulteriori commenti esulerebbero dal contenuto informativo di questa nota, ma non possiamo evitare di considerare quanto si è fatto quale un lampante atto di accusa contro i responsabili di un tale misfatto ai danni del monumento, con l’aggravante della impossibilità di porvi rimedio in futuro.       
   
articolo del 7.4.10 siciliainformazioni 

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