- LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA CATENA A PALERMO - LA "SENTINELLA" DEL PORTO
20 marzo 2010
di
Claudio Alessandri
Perché “della Catena”? Per il semplice motivo che dal luogo dove è stata edificata questa chiesa, si protendeva una grossa catena lunga quindici metri che, attraversata l’imboccatura dell’antico porto di Palermo, la “Cala”, terminava fissata ai bastioni di Castello a Mare in modo di impedire, notte tempo, l’ingresso al porto da parte di navigli non desiderati e possibilmente intenzionati a predare le abitazioni della costa, o peggio ancora permettere la penetrazione in città di navigli carichi di armati di qualche esercito invasore.
A quanto sembra una precauzione inutile dato che nel 1603, la flotta Pisana infranse la catena ed i marinai si dedicarono con fervore a predare le ville del circondario, ma non bastò, alla fonda si trovavano sei navigli stracarichi di mercanzie, logicamente quei battelli presero il mare con destinazione Pisa. Il bottino fatto dai pisani fu talmente pingue da permettere di dare inizio alla costruzione del loro stupendo duomo.
Questa chiesa venne edificata tra il 1490 ed il 1520 su progetto dell’architetto Matteo Carnilivari, celebre a Palermo per i progetti del Palazzo Aiutamicristo ed il palazzo Abatellis, sembra comunque che anche per S. Maria della Catena, il suo intervento venne meno in corso d’opera per motivi a noi ignoti, i lavori vennero ultimati da un capo mastro non meglio identificato, eguale sorte era toccata al Palazzo Aiutamicristo.
Comunque l’idea del Carnilivari è evidente pur non negando di alcuni particolari che denunciano una diversa volontà costruttiva. Il tempio è una perfetta commistione di stili, gli elementi tardo rinascimentali si accostano gradevolmente a quelli gotico-catalani. Il gotico ed il catalano si evidenziano in modo particolare nella loggia, spartita da tre archi che domina una scalinata d’accesso che agli inizi era di due rampe, altre vennero aggiunte in seguito.
All’interno, particolarmente raccolto, architettonicamente prese spunto dallo stile gotico rinascimentale, semplice ed elegante. La chiesa è arricchita da due dipinti del XVII secolo, di buona fattura, si sconoscono gli autori. Di Vincenzo ed Antonello Gagini è invece un bassorilievo del XVI secolo, degli stessi i capitelli delle colonne ed i portali d’ingresso. Nello stesso luogo dove oggi sorge la chiesa “della catena”, secondo la tradizione esisteva gia una modesta costruzione religiosa ed a quella era collegata la catena che chiudeva, come gia scritto, l’imboccatura della “Cala”.
Proprio dopo l’incursione pisana si diede il via alla costruzione dell’attuale tempio, il riferimento alla catena non andò perduto e permane ancora ai nostri giorni, anche se la tradizione popolare non si collega alla catena che sbarrava l’ingresso al porto, ma ad un miracolo che si sarebbe verificato nel 1392.
La leggenda narra che un giorno, non specificato, di quell’anno tre assassini condannati alla forca nel transitare con la carretta che li trasportava per la via che conduceva a Piazza della Marina, luogo abituale per i supplizi, a causa di un subitaneo, violentissimo temporale dovettero arrestarsi proprio di fronte la chiesa di Santa Maria della Catena, e pentiti del male fatto pregarono la Santa Vergine di salvarli da quella morte atroce, la Vergine credette nel loro pentimento, le catene che li tormentavano si spezzarono liberandoli, a seguito di questo evento straordinari, la chiesa venne restaurata ed assunse il nome “della catena” a seguire quello dedicatorio di “Santa Maria”.
Questa chiesa è caratterizzata da una architettura di estrema eleganza eppure le sue linee sono di una semplicità disarmante e conferiscono a tutto l’insieme una straordinaria sensazione di leggerezza. L’atrio posto al termine della gradinata non ha eguali per proporzioni in tutta la Sicilia del XIV secolo. Ai piedi di una statua che raffigura Santa Caterina in atteggiamento orante, si nota una iscrizione che narra della formidabile carestia che imperversò a Palermo dal 1594 al 1597. Nel secolo scorso i Teatini “tentarono” di sconciare l’interno del tempio con sovrapposizioni deturpanti, ma le linee originali si possono ancora riconoscere e apprezzare.