- ANTOLOGICA DI ANTONIO LIGABUE A PARMA IN MOSTRA IL GENIO DI AL MATT.
13 marzo 2011
di Claudio Alessandri
Quando Antonio Ligabue fece il suo ingresso nel paese padano di Gualtieri, non destò nei paesani soverchia curiosità, era accompagnato da due carabinieri, ma fu fatto notare che non aveva le manette, segno che non era in stato di arresto.
L’impiegato comunale al quale si presentarono i carabinieri per il disbrigo delle pratiche che avrebbero concesso a Antonio di essere accolto a Gualtieri, era abbrutito dal caldo insopportabile che gravava come una cappa infuocata in quella zona attraversata dal Po’, pensò immediatamente che al malessere provocato dal caldo, si aggiungeva questa che, giudicò subito, una nuova seccatura, alla quale non poteva sottrarsi.
Non fu facile ricostruire le vicende che avevano condotto quel giovanotto strano, a Gualtieri, Strappare qualche parola a Antonio fu un’impresa, e le poche frasi che uscirono farfugliate dalla sue labbra stranamente carnose e sporgenti, vennero pronunciate in tedesco, lingua non molto gradita dall’impiegato comunale che, a seguito dei contatti non troppo amichevoli con i soldati tedeschi che si era trovato a combattere, ricordava le carneficine delle trincee e gli ordini perentori che sembravano abbai di cani rabbiosi che giungevano fino al suo “buco” maleodorante e fangoso, si incupì in volto.
Pensò, ci mancava anche questo, che ci faceva un tedesco a Gualtieri? Perché i carabinieri lo avevano condotto in quel paese perché vi rimanesse? I due carabinieri serafici gli chiarirono subito il dubbio, non è tedesco è svizzero, sua madre, una italiana, era morta e di suo genitore si era perduta traccia, era stato adottato da una famiglia svizzera, ma Antonio non era un tipo facile e dopo vari episodi spiacevoli, era esploso rabbioso lanciando oggetti di tutti i generi verso la madre adottiva che lo aveva denunciato. Antonio era stato riconosciuto all’anagrafe da un patrigno, un certo Laccabue, che era di Gualtieri e che, al momento, si trovava in galera per avere procurato alla moglie e ai figli della carne avariata che li aveva uccisi tutti…..tranne Antonio.
Antonio, da quel giorno, venne accolto a Gualtieri dai paesani come uno di loro, ma con l’ingenua crudeltà dei contadini, lo indicarono sempre come “al matt oppure il tedesco” che per gli abitanti di Gualtieri avevano identico significato.
La vita di Antonio che intanto aveva ricusato il cognome di Laccabue, assumendo quello di Ligabue, trascorse dal suo arrivo a disegnare, inizialmente con le incertezze dell’autodidatta, per poi progredire assumendo la caratteristica forma espressiva e coloristica che lo contraddistingueva. Ligabue amava follemente gli animali, li dipingeva con naturalezza, senza furberie o soluzioni “studiate”.
Dipinse la famosa tigre del circo che era giunto a Gualtieri commissionò a lui una insegna, in quella belva che si lancia verso la preda a fauci spalancate, si può leggere la grande bravura di Ligabue, ma è una bellezza che contiene tutto il dolore e la rabbia che Antonio covava dentro di se per il destino infame che gli aveva riservato la vita.
Altro dipinto stupendo è quello che raffigura la carrozza postale trainata dai cavalli lanciati in una corsa folle, quasi dipendesse da loro il recapito di una missiva a garantire una vita, quella di Antonio? Quello che è certo, quella diligenza era un ricordo di Ligabue per la natia Svizzera.
Famosi i suoi rapaci dalle ali spalancate, il becco adunco, tanto simile al suo naso, martoriato dai sassi che egli stesso si infliggeva, forse a renderlo sempre più simile a quello della poiana o del falco. Amava talmente gli animali che nel dipingerli interloquiva con i loro versi, il ruggito rabbioso della tigre, il grido lacerante dei rapaci, l’abbaiare dei cani, o la loro postura scultorea nell’atto della “punta”.
Dipinse animali di ogni genere immersi in una natura coloratissima e selvaggia. A notare il suo indubbio “genio” fu un pittore del luogo, Mazzacurati, che ospitò per vario tempo Ligabue nel suo studio regalandogli colori e tele e, in fine, imponendolo all’attenzione delle “grandi” Gallerie d’Arte, acquisì fama e denaro, abbastanza per acquistare una automobile guidata da un autista che doveva togliersi il berretto ogni qualvolta gli apriva o chiudeva lo sportello, in precedenza si era fatto dare una rossa Gilera in cambio di parecchi dipinti.
La sua vita fu un alternarsi di brevi gioie e tanto dolore, dovette essere ricoverato in manicomio varie volte, ma il suo genio pittorico non venne mai meno fino a quando sfinito dalle malattie, si spense a Gualtieri il 27.05.1965. Implorando sempre uno po’ d’affetto quando ripeteva ossessivo all’ostessa: “ un bacio, dammi un bacio”. Dopo la sua morte la zona da Gualtieri a Suzzara e altri paesi padani si affollò di pittori presunti “Naif” in cerca di fortuna come era successo al “matt”, appunto il matto, il genio di un matto, irripetibile, irraggiungibile perché scaturito da una mente che non visse la realtà, ma un lungo, tormentoso sogno.
La mostra è stata inaugurata venerdì 11 marzo 2011 e resterà aperta fino al 26 giugno 2011, presso la Fondazione Magnani Rocca, Via Fondazione Magnani Rocca 4, Parma – Mariano di Traversatolo.
Orario: dal martedì al venerdì orario continuato 10-18; sabato, domenica e festivi orario continuato 10-19. Lunedì chiuso. Ingresso € 9,00 per le scuole € 5,00
Claudio Alessandri
ANTONIO LIGABUE: FALCO BIANCONE, olio su faesite cm.125x90
articolo pubblicato su italiainformazioni