- FOTOGRAFIA, PALERMO FILTRATA DAI "VETRI" DI ANDREA ATTARDI -
24 gennaio 2009
di
Claudio Alessandri
Ritengo, sperando di non incorrere nella solita banalità, che se un palermitano, ma indifferentemente un romano, un milanese, un cittadino del mondo, decida di visitare la “Città Felice”, dia per scontato di godere di monumenti che ricordano lo splendore arabo-normanno, osservare paesaggi marini o montani immortalati negli splendidi oli di Francesco Lo Jacono, tutti “fulminati” da una luce abbagliante, totale, quella stessa luce che si insinua in ogni angolo, in ogni viuzza dell’antica città mettendo a nudo una realtà decadente, che non inganna più nemmeno i turisti d’oltralpe ed il loro innato romanticismo, decadente è ogni manifestazione di vita sociale e politica.
Quindi l’impatto, non solo visivo, nell’osservare gli “scatti” di Andrea Attardi esposti presso la Galleria Elle Arte di Palermo che “scorrono” lungo un notevole percorso temporale, 1989-2008, e che ritraggono vari scorci della nostra città, darà un immediato senso di realtà sofferta, la mia considerazione non deve essere, in alcun modo interpretata in senso negativo, ma a “spiazzarci” è proprio l’assenza di quella “luce vivida” che è divenuta, nella visione stereotipata di cittadini e turisti, l’unica cosa vivificante di una città tramandata nei secoli come “felice”, una convenzione, Palermo, nella realtà, nella stragrande maggioranza dei suoi cittadini non è stata mai “felice”, ne ieri e nemmeno oggi.
Come tutti gli artisti che esprimono il loro sentire intimo per mezzo di un obiettivo fotografico Attardi, nel mostrare Palermo nell’ambito di questa personale, ha prediletto il bianco e nero, una scelta ponderata poiché il colore avrebbe “imbellettato” più che rappresentato una realtà che, proprio dall’aspetto decadente trae quell’ultimo anelito di vita nella speranza di un rinsavimento, un riscatto che possa ridare, almeno nell’aspetto esteriore, quell’aura di nobiltà che emana ancora da ciò che si è salvato dalla cupidigia di costruttori, politici e proprietari che hanno svenduto le loro “radici” per un “piatto di lenticchie”.
Gli “scatti” di questo sensibilissimo artista, non concedono nulla al compatimento, ma nemmeno al pessimismo esasperato e non vorrei essere proprio io ad insinuare nelle immagini in mostra, un senso gelido di prossima catastrofe, alterando colpevolmente l’aspetto artistico per altro evidentissimo.
Attraverso i “vetri” si mostra una vegetazione rigogliosa, dalle essenze preziose e rare provenienti da terre lontane ed esposte al chiuso di teche, certamente protettive, dagli insulti del clima? Non proprio o almeno, non principalmente, piante esposte alla visione del pubblico al pari di reperti archeologici, eppure quella vegetazione è viva , è florida, una ispirazione artistica o un incontenibile impulso premonitore?.
Il “Genio di Palermo” sembra svettare su un alto basamento costituito da scatole di cartone, richiuse ed accatastate in bell’ordine. La “Tonnara Florio” a Vergine Maria si innalza da un arenile solitario, ultimo “bastione” a difesa di antiche “levate”, oggi relegate in trepidi ricordi.
Barche tirate a secco, o arenate? E sullo sfondo i contrafforti di Capo Gallo che incombono sul piccolo paese di pescatori, Mondello. Via Maqueda deturpata dal muraglione che preclude, ormai da innumerevoli anni, ogni iniziativa per rendere fruibile uno spazio di notevoli dimensioni, venutosi a creare dopo il disastroso bombardamento Alleato del 1943, “indisponibile” proprietà della Curia della nostra città.
Il porto con il mare che “trasluce” vibrando leggermente alla brezza marina, sullo sfondo le alte gru e qualche nave in attesa del carico, umano o di merci, una distinzione puramente formale per gli armatori, gli uni o le altre hanno eguale valore economico.
Sono esposti in mostra tanti altri scorci di Palermo, caratterizzati da “scatti” ispirati da sentimenti artistici che rendono godibili anche le sovrastrutture di una nave e poi, una anziana signora “abbandonata” su un divano di “Palazzo delle Aquile”, le mani incrociate, abbandonate in grembo, il volto colto in un momento espressivo di infinita pazienza, gli occhi socchiusi in una attesa che dura da migliaia di anni, sperando in un “provvido” futuro.