- LEGGE SUL PECULATO E LUNGAGGINI PROCESSUALI COME E' ATTUALE IL CODICE MELFITANO DI FEDERICO II -...
24 dicembre 2008
di
Claudio Alessandri
Molti dei problemi che affliggono ancora oggi la conduzione della giustizia, esistevano già durante il regno di Federico II, l’imperatore non trascurò alcuno degli aspetti negativi che avrebbero comportato un danno per la sua amministrazione o disparità nell’applicazione della giustizia. Il Codice Melfitano, voluto fortemente da Federico II, non mancò di comprendere dei principi legislativi che tendevano all’eliminazione di ogni possibile disparità di trattamento tra i suoi sudditi, a qualsiasi ceto appartenessero.
Il Titolo XXXVI del codice contemplava il reato di “peculato dei funzionari pubblici” già presente durante il regno di Ruggero II e riguardava tutti quei funzionari che rivestivano il delicatissimo incarico dell’amministrazione dei pubblici beni. Se questi funzionari, durante l’esercizio delle loro funzioni avessero osato sottrarre del denaro pubblico, dovevano essere accusati di peculato, reato identico alla lesa maestà che comportava la pena di morte, sempre che non fosse intervenuto lo stesso sovrano a sottrarli alla pena capitale beneficiando della”clemenza regia”.
Di questo reato estremamente infamante rimase vittima lo stesso Logoteca di Federico II, Pier delle Vigne, che aveva concorso in modo determinante alla stesura del Liber Augustalis.
Accusato, con molta probabilità ingiustamente di essersi arricchito sottraendo denaro dal tesoro regio, dovette subire l’ira dell’imperatore che, dopo averlo fatto accecare, lo condusse con se durante il rientro nei suoi possedimenti del Sud, ma quando il corteo regale fu nei pressi di San Miniato, il Logoteca si tolse la vita, su questo suicidio grava, ancora oggi, molta incertezza.
Altro Titolo della legge da attribuire sempre a Ruggero II, ha particolare riguardo per coloro che avessero arrecato un “danno alla pubblica amministrazione”; qualsiasi funzionario che per sua negligenza avesse arrecato un danno economico allo Stato, doveva risponderne personalmente con i propri beni, ma ciò non estingueva la responsabilità dell’accaduto e questi doveva rimanere in attesa del giudizio del re, alla condanna ad una eventuale pena o al perdono, secondo l’insindacabile giudizio del sovrano.
E’ facile, ma forse inopportuno, fare riferimento agli stessi reati commessi ai giorni nostri ad alle pene inflitte, quasi sempre non commisurate ai danni economici procurati all’intera Nazione.
Altri argomenti contenuti nel Codice Melfitano, sono ancora oggi di sbalorditiva attualità. Esempi lampanti sono contenuti nel Titolo XLIX dello stesso Codice; Federico II non consigliava, ma imponeva a tutti i giudici del regno di portare a termine le cause loro affidate con la massima celerità senza alcuna comprensione per quegli avvocati che protraevano le loro arringhe difensive senza alcuna giustificazione motivata.
Pertanto, dopo le deposizioni dei testi atte a produrre valide motivazioni al ricorso alla legge, gli avvocati non potevano disporre di più di due giorni per esaminare le leggi e trarre le conclusioni del caso. Quando i giudici avevano fondati motivi che gli avvocati avessero prolungato artificiosamente l’istruttoria, imponevano agli stessi di risarcire la parte vincente dei danni causati dalla loro condotta.
Poteva avvenire che le lungaggini della procedura non dipendessero dagli avvocati, ma dagli stessi contendenti, in tal caso il giudice doveva imporre alla parte soccombente il pagamento al vincitore del danno economico questi aveva l’onere di quantificare, sotto giuramento, l’ammontare del danno subito.
Conclusa la causa, Federico II non imponeva ai giudici un termine per emanare la sentenza rendendosi conto che i giudici erano gravati da innumerevoli pratiche pendenti, raccomandava però di giungere ad una conclusione entro dieci giorni dal termine del dibattimento, come peraltro previsto dal codice federiciano.
Giudichi il lettore se vi è attinenza fra quello che avveniva nel XIII secolo in campo giuridico e quello che si verifica ancora ai giorni nostri.
articolo del 24.12.09 siciliainformazioni