- LA NECROPOLI NEGATA -
9 novembre 2008
di
Claudio Alessandri
Ormai da tantissimi anni, ritengo ragionevolmente fin dalla mia più tenera età, il destino o uno strano caso, non saprei definire con esattezza un episodio che ha influito in modo tanto determinante nella vita della mia famiglia e principalmente sulla mia, che ci ha proiettato a migliaia di chilometri dalla natia Pianura Padana fin alla “misteriosa e favolosa” Terra di Sicilia.
Perché determinante in particolar modo per me è presto detto. Forse per naturale tendenza o per il fortunato incontro con cultori illuminati di archeologia classica e medievale, la mia non è stata soltanto una crescita anagrafica, ma anche culturale, una passione non limitata allo studio bibliotecario, ma all’impegno di tutto il mio più intimo sentire, in varie campagne di scavo di un’infinità di siti archeologici dei quali la Sicilia è fortunatamente ricchissima, anche se non valorizzati con intelligenza.
Ed eccomi giunto al nocciolo delle mie tristissime considerazioni. In tanti anni di attività ho assistito ad uno scempio tanto ottuso quanto incomprensibile di un immenso tesoro culturale, artistico e turistico. Non sono stato certamente il solo ad accorgermene, voci importantissime si sono levati a difesa di un mondo che è alla base dell’attuale cultura non solo isolana, ma sarebbe più logico dire “non cultura”, l’assoluta indifferenza al cospetto di capolavori d’arte, quella stessa che è distintiva della nostra storia millenaria che dovrebbe essere alla base del fermento vitale che perpetua e valorizza le vestigia di un mondo scomparso da secoli, ma presente e pulsante nelle nostre stesse fattezze, nelle tradizioni nell’orgoglio di appartenere, di discendere da una civiltà multirazziale che ha riverberato la sua luce sul mondo intero.
I numerosissimi turisti che visitano le nostre contrade rimangono estasiati nell’osservare quelle “quattro pietre sconnesse ed inutili” come le ho sentito chiamare da molti, loro no, loro in quelle “quattro pietre” vedono bellezza, storia ed altro ancora e ce le invidiano e quando tornano nei loro paesi raccontano di meraviglie, di avere camminato dove è nata la civiltà, respirato cultura riempiendosi il petto di glorie non loro, ma che comprendono essere nell’amore per l’arte, per la storia, per il nostro lontanissimo passato che è innanzi tutto il nostro futuro, nel bene e nel male, un legame indissolubile che è nato nel buio delle caverne e che si spezzerà solo quando non sarà lo stesso essere umano a troncarlo, non volere divino, ma incomprensibile implodere del genio umano che, una volta giunto alle vette più sublimi della conoscenza, resosi edotto di avere raggiunto il culmine invalicabile del sapere, sceglierà l’olocausto vittima della sua stessa conoscenza.
La città diruta di Soluto è stata il teatro dei miei giuochi infantili, le sue strade hanno guidato le mie scelte culturali ed emotive, i suoi mosaici i giacigli dove ho trovato ristoro giacendo supino nei lunghi momenti di riflessione, di commossa riconoscenza per avermi ospitato quale rifugio e come scuola di vita, d’esperienza e per amore di quella che, per caso, era divenuta la mia Terra.
Non affermerò mai con atteggiamento snobistico che abbiamo tante bellezze che ci siamo abituati a vederle fino all’indifferenza.
Il mio dolore risiede proprio in quella indifferenza e pur cosciente di combattere contro i mulini a vento, mi batterò con tutte le forze perché un giorno, forse, si risvegli la coscienza di coloro che sono preposti alla difesa e valorizzazione dei nostri beni, storici ed artistici, del nostro passato, del nostro presente, un popolo senza storia non vive non ha passato, non un futuro, vegeta nell’ignoranza di una barberie intellettiva molto prossima alla morte.
Orbene, seguendo il filo insondabile della mia “follia” mi sono risolto a testimoniare attraverso i libri l’importanza di queste antiche vestigia nella speranza di infondere a chi di dovere un po’ di curiosità, il dubbio di una colpevolezza ingiustificabile.
Speravo, ma nulla, non è accaduto nulla, il silenzio ha sovrastato le idee come accade normalmente per fatti molesti da non divulgare perché vengono inghiottiti dal gorgo nero della non conoscenza.
Come dianzi scritto, ho deciso di parlare diffusamente delle vestigia solutine e di ciò che rimane, (pochissimo) della vastissima necropoli che sorgeva a sud dell’antica città Fenicia che prosperò sul Monte Catalano, fino a quando l’esercito siracusano non la distrusse totalmente.
Le caratteristiche tombe a camera di ciò che rimane della necropoli di Santa Flavia, un esempio eloquente di quel genere di strutture funerarie, smesso l’uso precedente della cremazione, sono attualmente circondate da un alto muro, unico varco, un cancello metallico chiuso da un catenaccio.
Avendo necessità di scattare alcune fotografie di quel luogo, mi sono rivolto ai funzionari del Comune di Santa Flavia e da loro ho appreso che il sito non è sotto la loro giurisdizione bensì dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e più precisamente dai funzionari ai quali è affidato l’Antiquarium che sorge all’ingresso delle rovine solutine, come ho potuto constatare con disappunto non di funzionari si tratta, ma di guardiani poco informati e poco disposti a collaborare.
Ho iniziato una serie infinita di contatti telefonici con quei guardiani, gentili richieste, invocazioni d’aiuto, larvate minacce; nulla, un autentico “muro di gomma” dovrò alla fine, illustrare il libro da me scritto con immagini di repertorio poco attinenti e prive di quel pathos che infonde in me tanta nostalgia perché all’interno di una di quelle sepolture ho giocato, con tantissimi altri ragazzi, per quasi otto anni, gli otto anni che sono stati alla base della mia formazione fisica, intellettuale e principalmente umana..
E’ appena il caso di precisare che dalla mia prima richiesta per potere accedere alla necropoli, ad oggi, sono trascorsi circa quattro anni senza avere raggiunto alcun risultato positivo.
E la cultura, la storia e i turisti…?
articolo del 9/11/08 siciliainformazioni