- RENATO GUTTUSO - AD ASPRA I PRIMI PASSI DI UN "GENIO" DELLA PITTURA
10 ottobre 2008
di
Claudio Alessandri
Come normalmente accade per tutti coloro che avvertono prepotente il richiamo dell’arte, iniziò a dipingere giovanissimo; intendiamoci; le sue prime realizzazioni evidenziano una immaturità che è naturale per la giovane età; il tratto è incerto, i colori eccessivamente “corposi e terrosi” e, come tutti i principianti i soggetti che Guttuso trae, ignorando già da allora ogni convenzione formale, da cartoline che rappresentano vedute di varie città italiane, sono poco più che volenterosi tentativi di riprodurre vedute urbane “dal vero”. Non disdegna comunque, con l’incostanza caratteristica del principiante, i paesaggi marini, tanto prossimi alla natale Bagheria, il borgo marinaro di Aspra, sarà per lui una fonte inesauribile di spunti intimistici; il mare ed il cielo si “affacciano” nei suoi primi lavori, facendo intuire “la forza del colore” che per Guttuso diverrà, sino alla fine della sua esistenza terrena, una costante caratterizzante, talmente incisiva da divenire una “firma”, un “sigillo” ineguagliabile. In quel periodo, oltre ad alcuni ritratti, dipinge due quadri di ambiente marino; Aspra è sempre lì a suggerirgli spunti forse non originali, anche se si intravede già il “segno” distintivo, netto, caratteristico di un temperamento vivace e poco propenso ad una “catalogazione” stilistica. Tutto ciò non disturba l’atmosfera poeticamente suggerita da un mondo prossimo a scomparire, infranto dal maglio insensato di un frainteso modernismo. E’ sempre da Aspra che Guttuso “guarda” il golfo di Palermo con l’inconfondibile sagoma di Monte Pellegrino, intravisto nel baluginare di una bruma estiva. In questo caso è evidente l’ispirazione del futuro maestro bagherese, quel soggetto è caratteristico e ricorrente nei paesaggi dipinti dal “ladro della luce del sole”, Francesco Lo Jacono, uno dei massimi esponenti siciliani dell’impressionismo attivo a Palermo fra la fine dell’800 e gli inizi del 900. Per Guttuso forse fu quello l’ultimo “singulto” di un mondo infantile, ma ancora bisognevole di tanta e poi tanta esperienza; eppure le sue opere sono già traboccanti di pathos. Guttuso, nel lungo periodo della sua maturazione anagrafica ed artistica, cerca nella natia Bagheria un’artista che possa conferire alla sua espressività, maturità sì, ma principalmente originalità. Emilio Murdolo, famosissimo pittore di caratteristici carretti siciliani, esercita su Guttuso un’attrazione fatale ed è presso di lui che ha inizio il cammino verso le vette più alte dell’arte mondiale. Pensare che Murdolo abbia potuto influire sul “segno” caratteristico del grande, giovane bagherese, non sarebbe soltanto un errore madornale dal punto di vista artistico, ma condurrebbe ad una “gustosa saga” da prendere solo come tale e null’altro. Guttuso nella bottega di Murdolo, non imparò a disegnare, quel dono stupendo era innato, ma da quell’umile artigiano, apprese l’uso del colore, lezione che non dimenticò più, perfezionando le tonalità ed arricchendole di una forza talmente pregnante da renderlo distinguibile da qualsiasi altro artista. Enrico Crispolti, famosissimo interprete dell’arte guttusiana, in una famosissima monografia dedicata al “Maestro”, si pone una domanda che ritengo logica, ma quello che è estremamente grave è che si da anche una risposta che, lo dico con estrema pudicizia, sta’ a dimostrare come anche i “grandi eruditi” possono essere vittime di cecità fisica e culturale che, per uno studioso di arti figurative è, a dir poco, grave in un’affermazione che ha dell’insulto. Conclude: “… una esperienza che pure Guttuso ha voluto ricordare in un dipinto della sua “autobiografia”, tuttavia forse più in un omaggio ideale alla pittura popolare siciliana, che non specificamente all’insegnamento di quel piccolo maestro (altro larvato dire chiaramente), e credo non solo difficile, ma impossibile dire…” Nel leggere quanto sentenziato da un “mostro sacro” della storia dell’arte quale Crispolti, non dubito affatto del mio pensiero in proposito, ma dubito fortemente di lui e della sua conoscenza della “pittura popolare siciliana” come la definisce relegandola impietosamente in un’espressione folkloristica, colma di tradizioni, ma totalmente priva di spunti artistici. Il mio parere, al riguardo, come già esposto, è diametralmente opposto; non posso contestare il fatto che la pittura popolare, rivesta il carattere di “arte minore” ma non è questo l’aspetto che è determinante nella pittura di Guttuso e che Crispolti ignora. Quelle ingenue rappresentazioni della mai dimenticata tradizione siciliana della “Chanson degest” che perpetua la leggendaria lotta fra i cavalieri di Carlo Magno e i Mori; se mi fermo a questo aspetto, ha indubbiamente ragione Crispolti, ma è talmente evidente in quelle “leggende semoventi” un'altra caratteristica che non può sfuggire, neppure ad un osservatore distratto: “la forza del colore”, della cui importanza ho scritto dianzi.. Guttuso nella sua lunga e fortunata carriera artistica, venne a contatto con colleghi delle più svariate correnti pittoriche, ad alcune di esse aderì con entusiasmo, quella “paesaggista naturalista” del pittore bagherese Domenico Quattrociocchi, presso il cui studio il giovane Renato lavorò per qualche tempo, assumendo verso la natura un atteggiamento di commuovente liricità, forse violentando il suo carattere impulsivo, più avvezzo alla “sciabola” che alla “dolcezza” del “fioretto”. A quel periodo risalgono alcuni dipinti che non incideranno sulla sua carriera di pittore “globale”, ma che “incastonerà” nel suo ricordo e che riemergeranno, come balsamo vivificante, nei tanti momenti perigliosi della sua vita, ma non a caso i due dipinti di quel periodo saranno dedicati a padre Gioacchino, agrimensore e ad un paesaggio del paesino marinaro di Aspra, con la sua atmosfera semplice, pacata e nel contempo pervasa dalla forza e dal coraggio di umili marinai sempre in attesa della “pesca miracolosa”, mentre il mare esigeva ogni tanto, un tributo umano, ancora “divinità” fra la superstizione e la fede in Dio. La svolta decisiva per Guttuso giunse quando venne a contatto con il “futurista Pippo Rizzo”. Quella metamorfosi, che non durerà a lungo, sconvolgerà il suo concetto pittorico derivante dagli studi classici, prima a Bagheria e poi a Palermo, l’esempio di Rizzo, “frustò” la sua creatività, ma non mutò la sua espressività cromatica, decisa, incisiva, “urlante” senza essere invadente. La frequentazione del “futurista corleonese”, fu per Guttuso l’ingresso ufficiale presso gli ambienti culturali italiani. Dovette lasciare Bagheria, ma mai definitivamente, e come tanti altri artisti siciliani illustri, stabilirsi nelle città che “contavano” ed ancora oggi contano per valorizzare i talenti più dotati. Torno a ritroso nel tempo, gli anni giovanili del maestro bagherese quando agli inizi, operava nel suo paese, e su commissione, nei centri vicini come, ad esempio, il paese di Aspra dove si verificò un evento indimenticabile, ricordato fra lo scandalizzato ed il faceto, degli Asprensi, che si tramandano quell’episodio come solevano fare con le favole narrate dai nonni.. Tra il 1929 ed il 1930, Guttuso, che allora si faceva chiamare Franco Balistreri affrescò, collaborato dallo scultore Giuseppe Pellitteri, su commissione del sacerdote Giuseppe Cipolla, la cappella dedicata all’Addolorata in seguito ampliata diverrà parrocchia di Aspra. Il giovane Guttuso non perdette tempo e a guisa degli antichi maestri, realizzò varie immagini sacre ispirandosi, per i volti dei santi, a nobildonne bagheresi, mentre per gli apostoli si rifece ai volti “bruniti” dal sole e dalla salsedine, di alcuni pescatori di Aspra che, fra l’altro, avevano in parte sovvenzionato l’opera. Finito il lavoro, l’allora Arcivescovo di Palermo Cardinale Lavitrano, recatosi a vedere l’affresco, invece di congratularsi con il contrito sacerdote Cipolla, montò su tutte le furie e ordinò, seduta stante, la copertura dell’affresco con una “purificatrice” mano di calce. Il perché di tanto trambusto è presto detto; il Cardinale Lavitrano ritenne scandaloso, se non blasfemo, l’ispirarsi per gli apostoli e dei “miserevoli” pescatori; logicamente nulla ebbe a ridire sul viso degli angeli e dei santi, riproducenti le caratteristiche somatiche di “nobildonne”. Il loro aspetto le identificava con chiarezza mogli, figlie o fidanzate di “nobili” del luogo o delle contrade vicine. A quel mondo irrimediabilmente in “disfacimento”, il cardinale portava rispetto. Erano ancora tempi “bui” se non per la chiesa, per la mente di “alti prelati” restii a rinunciare ai loro privilegi, più o meno come quei nobili per i quali nutriva un rispetto “viscerale”. Ma non era possibile cancellare solo gli apostoli ed allora il saggio Cardinale, si direbbe oggi: “per par conditio” fece coprire tutte le immagini, con buona pace del Nazareno che gli apostoli li aveva scelti in buon numero proprio fra i pescatori. Gravissima “gaffe” per un uomo di chiesa come il Cardinale Lavitrano, forse di memoria corta, ma stupido non era, sospettoso molto, sapendo che Guttuso aveva aderito al partito comunista, vide in quelle immagini affrescate, un “ingenuo” tentativo di quell’imprudente di alludere al popolo sfruttato, nei pescatori, e nei ricchi e nobili mariti delle nobildonne, gli sfruttatori. Comunque sia, il sacerdote Cipolla, dovette chinare il capo davanti ad un ordine imperativo del Cardinale. Ubbidì, ma a malincuore tanto che, con uno stratagemma, riuscì a salvare parte degli affreschi coprendoli con dei reliquari dipinti da Pietro Novelli, il che è tutto dire. Passarono gli anni e degli affreschi dipinti da Guttuso non se ne parlò più, ma nel 1969, nel dare diversa collocazione ai reliquari, ecco che gli affreschi, non tutti, parte di essi, tornarono alla luce per merito, sempre di un sacerdote, Mariano Di Lorenzo. La vicenda ebbe un lieto fine, gli affreschi, o per meglio dire ciò che ne rimaneva, vennero restaurati e consolidati ed ancora oggi fruibili dai fedeli asprensi, dagli studiosi d’arte e dai numerosi turisti curiosi di osservare quelle immagini, tutto sommato ingenue che tradiscono con evidenza l’immaturità tecnica dell’artista, ma che furono cagione di “scandalo”, forse il primo, ingenuo scandalo che precedette i tanti altrui che costelleranno la vita straordinaria e tumultuosa di un “grande Maestro siciliano” del ventesimo secolo.