- ARCHITETTURE STORICHE A PALERMO - IL PALAZZO AJUTAMICRISTO E IL CARNILIVARI
26 novembre 2009
di
Claudio Alessandri
E’ risaputo che l’architetto Matteo Carnilivari venne chiamato a Palermo da Guglielmo Ajutamicristo per affidargli la progettazione e realizzazione della sua grande e splendida dimora, la “Domus Magna”. Il famoso architetto giunto nella nostra città non potè affrontare immediatamente l’impresa, a renderlo per buon tempo inoperoso furono le infinite difficoltà burocratiche che dovette affrontare il suo nobile committente.
Si sa inoltre che il Carnilivari in quel lasso di tempo si dedicò alla progettazione di un altro capolavoro, palazzo Abatellis che non poté portare a termine nel suo insieme costruttivo a causa dell’urgente richiamo dell’Ajutamicristo che fece valere il suo innegabile diritto di prelazione. L’ansia dell’Ajutamicristo di tornare a disporre dell’arte ineguagliabile del Carnilivari è evidente nella successione dei contratti d’acquisto dei vari materiali necessari a dare inizio all’opera. Moltissimi contratti d’acquisto recano la data dello stesso giorno, evidente l’ansia di approntare nel tempo più breve tutto il necessario a dare inizio alla costruzione, sottraendo il Carnilivari da ogni altro impegno. I lavori di costruzione vera e propria ebbero inizio nel 1490 e da allora, al 1494, è tutto un susseguirsi di contratti notarili per la fornitura dei vari materiali necessari all’edificazione; ma come per palazzo Abatellis ecco il verificarsi di un imprevisto, il Carnilivari, ad un certo punto dell’ opera , abbandona l’impresa, il perché e le cause che determinarono la sua defezione, non ci sono note. A questo punto, assume importanza particolare un documento che porta in calce la firma del capomastro Nicola Grisafi, il documento è datato 14 gennaio 1494, è evidente quindi che a quella data, il Carnilivari ha abbandonato l’impresa costruttiva.
La “Domus Magna” fu elevata in circa quattro anni di lavoro, ed è abbastanza evidente, da un’attenta lettura dell’intera costruzione, fin dove operò il Carnilivari e dove, invece, intervenne un’altra disposizione costruttiva. L’impronta del grande Matteo si riscontra evidentemente nella merlatura della cornice di coronamento che continua, nelle murate laterali, secondo i criteri del primitivo progetto, ed ancora, nelle cornici marcapiano e dello zoccolo, anch’esse evidente frutto di una corretta interpretazione di un sano decorativismo. L'imponente parametro murario del prospetto composto da conci regolari di tufo dal colore gradevolmente dorato, emana immediatamente una sensazione di imponenza e grandiosità. La merlatura, a coda di rondine, massiccia e non rada, completa la sensazione di poderosa e nobile sontuosità. Le tre elevazioni, segnate da cornici d’ampio oggetto, evidenziate da alcuni tratti rimasti intatti nella muratura e nello zoccolo, davano, nella primitiva impostazione, la quieta sensazione della rinascenza italiana. Proprio la rassicurante imponenza del progetto rende con maggiore evidenza l’agile struttura del portico del cortile, dove si trovava, molto probabilmente, il portale d’ingresso.
Questa è la parte meno degradata del palazzo Ajutamicristo ed è anche la più “autografa” del Carnilivari, quella che maggiormente riflette il gusto decorativo del grande maestro. L’improvvisa interruzione dei lavori, in un primo momento temporanea e poi definitiva, lasciò il Palazzo Ajutamicristo solo in minima parte realizzato secondo il grandioso progetto originario del Carnilivari, ma è difficile imputare tutta la responsabilità della mancata realizzazione di sì grande progettazione all’architetto, molto probabilmente intervennero dissidi di carattere economico fra il Carnilivari e l’Ajutamicristo che, come evidenziato in seguito, non operò con sana, oculata visione economica.
La defezione del Carnilivari influì in gran parte sull’arresto dei lavori, ma la loro prosecuzione, anche se con diverso pensiero stilistico, sarebbe stata portata a termine da altri architetti, vedi per esempio lo stesso Nicola Grisafi, i cui servigi non sarebbero stati necessari se non fossero intervenute difficoltà che esulavano dai problemi schiettamente costruttivi. L’Ajutamicristo nell’apprestarsi alla costruzione della sua “Domus Magna” non aveva calcolato con oculatezza le sue, pur consistenti, disponibilità finanziaria. Il magnifico Guglielmo, in pochi anni, aveva speso rilevanti somme per l’acquisto di numerosi castelli e di grandi e famose baronie feudali (Misilmeri, Calatafimi e Favara) che richiesero in seguito ulteriori gravosi impegni finanziari per la conservazione dei castelli e per la cura e mantenimento della smisurata proprietà terriera.
La costruzione della splendida dimora di Porta di Termini finì per esaurire le casse, costringendo l’Ajutamicristo e ridimensionare i suoi faraonici progetti. La “Domus Magna” rimane comunque a testimoniare la sua grandiosità e quella del suo ideatore anche se, nel corso dei secoli l’opera monumentale non fu indenne dai guasti provocati dal tempo e dall’incuria degli uomini. Nel 1558 il palazzo passò in proprietà alla famiglia Moncada dei principi di Paternò, che fece apportare al palazzo importanti interventi di trasformazione al fine di renderlo maggiormente idoneo ad una comoda accoglienza abitativa, intervenendo anche sulle primigenie strutture, per adeguarle al gusto barocco di quel tempo.
Questi interventi provocarono la sostituzione delle strette monofore che si aprivano su via Garibaldi con numerosi balconi e sul retro del palazzo la realizzazione di uno splendido parco offerto anche all’utilizzo del pubblico. Verso il tramonto del XVIII sec., un altro intervento incorporò nell’insieme principale il grande salone da ballo affrescato dal Crestadoro. Al termine del XIX sec. il palazzo Ajutamicristo venne venduto, per una parte, alla nobile famiglia dei Calafati di Canalotti, per l’altra alla famiglia Tasca che, inopinatamente, curò la parte interna in stile pompeiano. A tutt’oggi la famiglia Calafati detiene la sua proprietà, l’altra è stata acquisita dalla Regione Siciliana per destinarla probabilmente a museo.