- IL CROCIFISSO MAIOLICATO DI MONREALE, CAPOLAVORO NASCOSTO FRA I VICOLI:
10 marzo 2009
di
Claudio Alessandri
Monreale città d’arte, il pensiero si rivolge immediatamente al celeberrimo Duomo risalente al XII secolo, “modesto contenitore” se paragonato all’immenso tesoro che orna il suo interno, un’opera musiva di inestimabile valore artistico e storico voluto dal re normanno Guglielmo II, detto “il buono”.
E’ inevitabile quindi, al cospetto di cotanta meraviglia, trascurare i tanti altri monumenti degni d’attenzione esistenti nella amena cittadina normanna. Una distrazione giustificata, ma dalla quale è bene liberarsi per godere del tanto altro nascosto nel centro storico, fra viuzze strette e misteriose che conservano ancora il fascino di un importante centro medievale.
Per sottrarsi a quella specie d’incantamento voluto dal “Buono” è sufficiente allontanarsi dalla grande piazza, centro artistico, commerciale ed amministrativo di Monreale ed inoltrarci, senza una meta prestabilita, per le viuzze della città, ed è proprio in questo modo che ci siamo imbattuti in un vero e proprio capolavoro dell’arte figulina.
A pochi passi dal centro storico, fra casupole fatiscenti, sorge il venerato Santuario della “Collegiata del SS. Crocifisso”; sulla sua abside esterna abbiamo notato un grandissimo pannello formato da mattonelle di maiolica policroma. Le sue proporzioni sono talmente significative da costringerci a soffermarci per effettuare una osservazione il più possibili accurata, raccogliendo nel frattempo, da alcuni abitanti notizie utili a tracciare un percorso storico-religioso di quel capolavoro.
All’origine quel pannello era formato da circa 1.500 mattonelle di cm. 18 per lato per una superficie totale di cinquanta metri di ceramica policroma in maiolica. Abbiamo sottolineato all’origine poiché ad iniziare dal XIX secolo addossate a quel capolavoro ceramico vennero costruite delle casupole che deturparono il pannello occultando gran parte della base.
Nel 1971 la Soprintendenza ai Monumenti di Palermo, diede il via ad un restauro risolutivo rimovendo le casupole e riportando alla luce la base del pannello, purtroppo l’azione della calce aveva danneggiato in maniera irrimediabile lo strato ceramico di gran parte del monumento, la speranza di ritrovare una firma o un timbro del valente ceramista andò delusa, non scaturì nulla che potesse soddisfare l’esigenza di conoscenza degli studiosi.
La stessa Sovrintendenza con i lavori eseguiti nel 1971 ha compiuto un’opera certamente di grande valore, ma nel contempo, mettendo in atto una di quelle iniziative che mai ci si attenderebbe da studiosi ed esperti d’arte, ha ritenuto opportuno porre rimedio a quell’orrenda ferita che deturpava gravemente la base del pannello.
Contro ogni logica che richiedeva, anzi imponeva, un restauro conservativo, le mattonelle mancanti o irrimediabilmente deturpate, sono state sostituite da altrettante ad improbabile replica delle originali. L’opera oltremodo ingiustificabile degli esperti della Sovrintendenza, non si è esaurita con quell’azione che denuncia un momento di grave ottenebramento mentale, ha voluto andare oltre, è stata applicata una targa di forma ovale, anch’essa di mattonelle maiolicate, nella quale si legge, a futura memoria del “misfatto”: Restaurato a cura della Soprintendenza ai monumenti di Palermo a. d. 1971”.
Un atteggiamento questo ampiamente diffuso durante il XVIII secolo che non è sfuggito agli strali di una corretta visione del restauro al fine di conservare un’opera senza alterarne la visione giunta fino a noi con inserimenti di dubbio valore artistico e visivo, in poche parole volgari “falsi”.
Nel suo imponente insieme l’opera attrae per eleganza formale ed impatto cromatico, con evidente attinenza con le opere figuline dei grandi maestri di scuola siciliana del XV-XVI secolo. L’opera nel suo insieme reca dipinta una cappella marmorea formata da due “pareste” con festoni composti da erba di un verde caldo che fa risplendere di giallo solare le arance splendidamente disegnate, l’insieme è completato da due volte poggianti su di uno “stilobate”.
La parte centrale dell’opera racchiude, in una cornice ad arco bordato da un lussureggiante festone erboso, il Crocifisso incastonato in un baldacchino di un azzurro delicatissimo, questo è tenuto dischiuso da quattro angeli; nei “rinfianchi” curvilinei sono raffigurati gli strumenti utilizzati per la crocifissione; a sinistra il martello, a destra i chiudi.
Ai piedi del cristo è raffigurato il teschio con le due tibie incrociate e in una visione fortemente contrastante con quei simulacri di morte, si staglia in un cielo azzurrissimo, l’inconfondibile paesaggio monrealese, l’abside del grandioso duomo e, in lontananza la “collana” dei monti di verde lussureggiante.
Nella zona sommatile dell’opera è dipinta una targa di forma ellissoidale, circondata da ricchi arabeschi, il tutto sormontato da una corona, è sorretto da due angeli. Sulla targa si legge: “Protegam Urnem Hanc ET Salvabo Eam Propter Me – Reg. Cap. IXX .V. 34” . Il Cristo, esprimendo la sua incommensurabile bontà, benché morente sulla croce, promette di salvare la città immolando se stesso.
La grandissima opera ceramica che, come già sottolineato in precedenza, ricopre una superficie di circa 50 mq. è la più grande realizzazione di questo genere in Italia.
Questa splendida opera, occultata parzialmente da una collocazione che impedisce una visione completa e profonda, ha richiamato la nostra attenzione, senza dubbio per le proporzioni inusuali, ma essenzialmente per la bravura artistica dello sconosciuto ceramista (Giorgio Milone?) che meriterebbe, certamente, uno studio approfondito. Tanto più che i numerosi testi, fra i più qualificati nel campo ceramico, riportano appena un breve cenno di questa opera, non dimenticata, ma certamente colpevolmente trascurata.