- IL VINO DI SCIASCIA - UN RICORDO DELLO SCRITTORE. -
30 novembre 2009
di
Claudio Alessandri
Nel volere rendere omaggio, ancora una volta, allo scrittore Leonardo Sciascia ricorrendo il ventesimo anno dalla sua morte, mi tornano alla mente piccoli episodi, cose di poco conto se paragonate alle vicende straordinarie che hanno costellato la vita di questo ineguagliabile letterato siciliano, un altro genio prodotto dalla nostra isola a confermare la predisposizione per numerosi abitanti della Sicilia, ieri come oggi, nell’arte meravigliosa di fare rivivere nelle pagine di un libro sogni, stralci filosofici rivendicazioni di una cultura millenaria, unica ricchezza ancora prodotta da una Terra stupenda, eppure tragica.
Appunto, piccoli episodi che mi mostrano Leonardo Sciascia nella dimensione di un amico amato più degli altri, non da idolatrare, ma da ricordare nei momenti di una normalità che gli donavano spunti felici, quasi fanciulleschi, ricordando quegli attimi di vita “qualsiasi”, ancora adesso mi commuovo profondamente.
Eravamo alla fine degli anni ’70, ogni pomeriggio subito dopo il lavoro d’ufficio, mi recavo senza sgarrare un giorno, più o meno alle ore 18,00 presso la Galleria Arte Al Borgo dove a poco a poco si radunavano i pittori più noti di Palermo e non solo, uomini di grande cultura e appassionati d’arte, era un vero e proprio cenacolo, eravamo tutti in trepida attesa di vedere arrivare Leonardo Sciascia accompagnato dal poeta Stefano Vilardo, suo vecchio compagno di scuola e suo autista volontario alla guida della vecchia fiat 500 poiché lo scrittore di Racalmuto non aveva mai voluto prendere la patente di guida.
Giunto Leonardo Sciascia, Sasà per gli amici, si dava inizio alla conversazione; gli argomenti erano vari e tutti sostenuti con gran vigore, arte ovviamente, politica, musica, lunghe disquisizioni sul fenomeno mafioso colluso con certi ambienti politici, insomma ogni argomento era buono per andare avanti per ore e ad ogni argomento trattato lo sguardo si dirigeva verso Sciascia che sedeva su di un divano antico, il viso concentrato nell’ascolto e le mani intrecciate ed appoggiate all’impugnatura, in genere di forma zoomorfa, del bastoncino laccato di nero si attendeva un suo gesto di assenso o di diniego, non scorgemmo mai nessuno dei due.
Nel parlare Sciascia era estremamente parco e si esprimeva sempre con tono calmo e a voce bassissima, quasi un sussurro, in quei rari casi tutti si zittivano per cogliere fino all’ultima sillaba di ciò che diceva ed ogni volta si trattava di una “perla di saggezza”, di profondo significato filosofico, profondamente umano ed a volte quasi profetico, almeno per noi tutti assumeva, volta per volta, questi valori di innegabile saggezza ed immensa capacità introspettiva. Uno di quei pomeriggi l’argomento principe verteva sull’etichetta realizzata da Renato Guttuso per un vino prodotto nel trapanese e che stava avendo un successo enorme, era diventato un oggetto di culto.
Qualcuno storceva il naso ritenendo quella iniziativa uno dei tanti sistemi di Renato per “fare munita”, altri sostenevano che si trattava di una iniziativa intelligente dal punto di vista economico, senza dubbio, ma anche artistico, i pareri discordavano, ma alla fine si giunse ad una proposta che, a primo acchitto apparve balzana, ma ormai il tarlo si era insinuato e rodeva, rodeva. Non sapevamo tutti che Leonardo possedeva una casa di campagna dove si recava nei mesi estivi?
Quella casa, poco distante da Racalmuto in località “La Noce” era circondata da una vigna, allora perché non cogliere l’occasione e produrre del vino? Il vino di Nanà, all’etichetta avrebbe provveduto uno dei migliori incisori italiani Edo Janich, non era siciliano, ma veniva spesso a Palermo e poi Sciascia lo ammirava.
Quella che era nata come una discussione oziosa, per assurdo, mancò poco che si realizzasse, Janich si affrettò ad eseguire un bozzetto, un capolavoro di tecnica e delicatezza incisoria, vennero stampate alcune etichette di prova, poi tutto si arrestò a quel punto, il 20 novembre 1989 quando Leonardo Sciascia ci lasciò tutti e si mise in viaggio per risolvere il grande dubbio della sua vita prodigiosa, l’esistenza o meno di un Dio la cui presenza avvertì tutta la vita indeciso se arrendersi o no, se lo fece non lo sapremo mai, riservato come era si portò la risposta sotto terra, nuda terra dove venne sepolto per sua volontà, accanto al suo gemello morto suicida quando aveva poco più di venti anni.
A me rimase una di quelle etichette “di prova” che io conservo gelosamente quasi si trattasse di uno dei tanti pareri illuminanti che Sciascia dispensò centellinandoli a bassa voce, trovando nel mio animo una assordante cassa di risonanza.