La città di Palermo e la Galleria d’Arte Sessantuno, ospitano una retrospettiva di uno dei più importanti artisti del secolo scorso, Orfeo Tamburi nato nel 1910 nella stessa città che diede i natali a colui che é passato alla storia come lo di Stupor Mundi, Jesi, dalla quale si distaccò molto presto per recarsi a Roma dove frequenterà il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti segnalandosi precocemente per sensibilità pittorica e letteraria collaborando con vari giornali con disegni e scritti.
Dall’atmosfera della “magica” luce della Città Eterna acquisisce le calde tonalità della “Scuola Romana” che caratterizzeranno le sue prime opere che verranno offerte al pubblico alla Quadriennale di Roma nel 1936, presto inizierà ad ascoltare le armonie incantatrici di Parigi che eserciteranno su di lui una “attrazione fatale”, la stessa che ha attratto a se innumerevoli artisti provenienti da tutto il mondo. Seguirà una serie serrata di partecipazioni a varie mostre, ma nel 1947 è nuovamente a Parigi dove si lega a profonda amicizia con il poeta Blaise Cendrars, ovviamente gli è congeniale l’ambiente dei pittori che frequenta assiduamente entrando in contatto con i colleghi Villon e Vlaminck. Seguirà una serie infinita di personali in Italia ed in Francia, nel nostro Paese conoscerà per la prima volta la città di Palermo dove esporrà nel 1940 presso la “Galleria Mediterranea”.
La sua attività attraverserà ancora molti anni incantando pubblico e critica per la grande capacità di dare vita ad atmosfere magiche pur se tratte dalla più avvilente normalità, i suoi colori si accendono e si smorzano con cadenze musicali, avvertite con poetica nostalgia dai molti e competenti estimatori di questo figlio del meridione italiano che si spegnerà a Parigi il 15 giugno 1994.
Le opere di Orfeo Tamburi, esposte presso la Galleria d’Arte Sessantuno, coprono un percorso che si snoda tra il 1934 ed il 1988, si tratta per lo più di 35 fra acquarelli, tempere e matite, opere di medio formato che sintetizzano il fantastico mondo di questo splendido sognatore che, senza tema di essere smentito, ha raccolto il plauso del mondo artistico nella sua totalità, ma non quello spietatamente mercenario che lo ha relegato in un “Limbo” di ottusa sottovalutazione.
Dall’adesione primitiva al sentire la pittura secondo le caratteristiche salienti della Scuola Romana, Tamburi elabora rapidamente una propria visione esprimendosi in soggetti conosciuti, eppure interpretati in personalissime visioni, da mostrare e proporre allo spettatore; le strade di Parigi, divenute a lui familiari, si ripropongono in infinite soluzioni architettoniche e coloristiche, è un susseguirsi di prospetti dai colori a volte vividi, a volte delicati, di tetti dal rosso smorzato dalla prolungata esposizione a piogge di secoli, da camini alti e possenti che suggeriscono sicurezza e desiderio di quiete domestica.
Tamburi ha lanciato un accorato messaggio ed è rimasto in attesa che la sua voce, ripercuotendosi per vicoli e botteghe, giunga a penetrare sin nell’intimo di colui che si sofferma ad osservare le sue opere; un invito garbato, quasi timido, ad operare nella dimensione costante della pace, nel trascorrere di una vita serena anche se non priva di affanni, tesa in ogni modo ad una concezione dell'esistere come professione costante di speranza. Tutta l'arte di Tamburi è questo, e tanto altro: un invito all'armonia ed alla serenità, ma, anche, al profondo ed infinito amore.