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- FUOCO E ACQUA: DALL'INFERNO AL PARADISO. LA PERSONALE DI FILIPPO RUBBIO

14 ottobre 2009

di Claudio Alessandri

Il genere pittorico di Filippo Rubbio non può essere limitato ad una definizione stilistica, equivarrebbe chiudere in una gabbia la fantasia. Indefinibile? No, semplicemente originale nelle forme e nei colori, anche se Filippo, quasi con ritrosia, assegna dei titoli alle sue opere, non una imposizione, solamente un suggerimento ai fruitori delle sue opere, liberi di condividere o dissentire, in un fantastico transfert tra il più intimo sentire artistico del pittore e coloro, che liberi da condizionamenti artistico-culturali, saranno i giudici imparziali di un istinto creativo dai mille significati, dagli infiniti messaggi a condurre l’esistenza lungo percorsi di serenità contemplativa.

La personale di Filippo Rubbio, ospitata dalla Galleria d’Arte Lupo’Art di Palermo, si compone di numerose opere atte a tracciare un filo conduttore che guida l’osservatore lungo un percorso visivo-sensoriale che cattura l’attenzione costringendo ad una profonda riflessione sui valori significanti del dipinto che non si mostra nell’evidenza di una rappresentazione figurativa dai tratti esplicativi di una narrazione volutamente descrittiva, ma con raffigurazioni simboliche dai contenuti da interpretare con l’ausilio delle forme e dalle variate cromie.
 

La tradizione letteraria italiana e mondiale, nel rappresentare i luoghi di espiazione, pentimento e glorificazione, è stata profondamente pervasa dalla narrazione del Sommo Poeta Dante Alighieri, la Divina Commedia ha descritto quei luoghi con tale realismo da rimanere impressi come un marchio a fuoco, non si tratta semplicemente di grande capacità poetica tale da trasformare i versi in luoghi, immagini e concetti; l’intera Opera è un capolavoro di teoria filosofica e determinante trattato teologico. Nei secoli la “Divina Commedia” venne illustrata in vari modi raggiungendo la massima espressione nelle stupende incisioni di Gustav Dorè che, ancora ai nostri giorni e ritengo ancora per vari secoli, mostreranno i volti dei vari personaggi che popolano quei luoghi di dolore o di beatitudine.

Detto  fenomeno costituì un completamento visivo dei Divini versi, fino a divenire un “unicum” inscindibile difficile da svelare dall’intimo poetico e figurativo. Filippo Rubbio raffigura l’Inferno con colori corruschi che richiamano l’atmosfera  dolorosa di un luogo che smorza ogni speranza di riscatto. Il Purgatorio, dai colori pacati che si avvolgono e svolgono in grandi spirali dall’andamento ritmico che suppongono febbrile desiderio di mete sempre più elevate.

Il Paradiso è forse l’opera meno appariscente dal punto di vista cromatico, Filippo Rubbio entra in quella dimensione con profonda ritrosia, quasi a non volere raffigurare l’immaginabile e quindi il raffigurabile. Rubbio ci offre visioni dai misteri biblici fra queste “svetta” la “Torre di Babele”, alta, frazionata, colorata con un celeste che prelude al suo disastroso crollo nel tentativo di sfidare l’Eterno, altra opera incisiva è, secondo me, il dipinto denominato acqua e fuoco, una lotta titanica, furibonda, tanto simile alla vita di ogni giorno nella quale si affrontano ragione e follia, bellezza intellettiva e irragionevolezza ed ottusità culturale.

La fantasia di Rubbio non conosce limiti senza mai cadere nel banale e nell’ovvio, lontano da sonorità eccessive che finirebbero per creare caos dove viceversa, impera un ordine artistico e filosofico di
straordinario spessore.

articolo del 14.10.09 siciliainformazioni

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