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Monumenti artistici siciliani

- PALERMO E LA FONTANA DEL CAVALLO MARINO. - OVVERO LA RICOSTRUZIONE DI UN PUZZLE OPERATO DALL'ARCHITETTO SILVANA BRAIDA -

28 dicembre 2009

di Claudio Alessandri

Il 5 marzo 1823 uno spaventoso terremoto scosse rovinosamente la città di Palermo, i crolli furono numerosi sia delle abitazioni civili che delle chiese, numerose furono anche le vittime. Fra i templi crollati in modo irreparabile vi fu la Chiesa di San Nicolò alla Kalsa. La chiesa sorgeva nella piazza Santo Spirito e per molti anni le rovine permasero in quel luogo fino al 1864.
In quell’anno il Comune di Palermo decise il restauro della piazza, ormai monca del sacro tempio. L’assenza di un “bilanciamento” architettonico risultò evidente ed i progettisti risolsero il grave inconveniente compiendo un’altra grave menomazione; decisero di prelevare dal giardino del palazzo Ajutamicristo la piccola, ma splendida fontana scolpita da Ignazio Marabitti conosciuta come: “del cavallo marino”. Il complesso scultoreo era formato da un cavallo di marmo bianco, le zampe posteriori erano scolpite in guisa di possenti pinne di pesce; a destra e a sinistra del destriero marino figuravano due putti, sempre in marmo bianco in atto di sporgersi verso l’acqua contenuta all’interno di una vasca di forma ovale.

Effettuato lo spostamento, la piazza di Santo Spirito riacquistò il suo equilibrio spaziale, almeno per coloro che concepirono quel “trasloco” forzato e per i tanti altri che, in seguito, ammirarono quell’opera scultorea senza immaginare lo scempio attuato in precedenza.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, temendo che in occasione di qualche bombardamento la fontana “del cavallo marino”, potesse subire dei danni, la municipalità decise di smontarla e riporla in luogo sicuro fino al termine del conflitto, iniziativa lodevole, ma della statua da quel momento si perdette ogni traccia. Certamente coloro che avevano operato a salvaguardia della splendida scultura del Marabitti erano a conoscenza del luogo dove il complesso statuario era stato riposto, ma terminata la guerra a nessuno venne l’idea di rimettere al suo posto “il cavallo marino”.
La fontana si componeva di una grande vasca di pietra grigia con al centro un rialzo costruito con vari blocchi rocciosi, la statua era inserita in cima a quel piccolo rilievo. Gli anni trascorsero e la fontana “monca” rimase tale, presto diede l’idea di un misero rudere tra i tanti lasciati dalle bombe americane ed inglesi nella zona della Kalsa, le erbacce cominciarono a crescere rigogliose.

Quello stato di triste abbandono non fu breve, ebbe termine nel 1972 anno nel quale il Sindaco del tempo, sensibile al richiamo delle testimonianze artistiche di Palermo che giacevano dimenticate e disperse, incaricò l’arch. Silvana Braida, in servizio presso il Comune e studiosa appassionata e competente del patrimonio artistico e monumentale della città, di compiere una approfondita ricognizione per riportare alla luce quelle opere artistiche che, dimenticate nel tempo, meritavano di essere riportate all’attenzione dei cittadini, memori di molti monumenti piccoli e grandi, e notandone l’assenza, si chiedevano quale fine avessero fatto.

L’Arch. Silvana Braida operò con il massimo scrupolo e competenza, i risultati furono notevoli e non pochi, fra questi la riscoperta della “fontana del cavallo marino”. La studiosa era al corrente della rimozione del complesso scultoreo, ma non rinvenne alcun documento che indicasse dove fosse stato riposto, non si perdette d’animo ed iniziò la ricerca; dire “cercare un ago in un pagliaio” è forse esagerato, ma non lontano dalla realtà. La ricerca ebbe inizio dai luoghi più logici, dal magazzino comunale, dove venne rinvenuto un frammento della statua, in vari depositi e vennero alla luce altri frammenti, uno dei frammenti, notevolmente consistente, venne rinvenuto e recuperato all’interno del Palazzo delle Aquile.
Finalmente la ricomposizione del puzzle venne completata in un tempo relativamente breve durante il quale non mancarono i momenti di delusione e di sconforto. Logicamente la prima domanda che si pose l’arch. Braida e non lei sola, fu quella di trovare una ragione valida per comprendere i motivi di quella assurda e pericolosa “dispersione”; non riuscì mai a venirne a capo e preferì rinunciare a favore del ripristino della fontana senza farsi altre domande, logiche, ma oziose.

Non occorse troppo tempo e durante una cerimonia “semplice e discreta”,”il cavallo marino” tornò al suo posto dove è possibile ammirarlo, ancora oggi, nello splendore del candido marmo e nelle forme di un plasticismo essenziale, ma straordinariamente evocativo.

articolo pubblicato su SiciliaInformazioni il 28.12.09

- PALERMO E LA FONTANA DEL CAVALLO MARINO. - OVVERO LA RICOSTRUZIONE DI UN PUZZLE OPERATO DALL'ARCHITETTO SILVANA BRAIDA -