Da pochi giorni ho appreso da vari organi di informazione che il “restauro” del Castello a Mare è giunto a termine e che lo storico complesso adesso è usufruibile dai cittadini.
La notizia mi ha riempito di gioia anche se mi preme precisare che non di “restauro” si tratta, ma di ripristino del sito o di consolidamento di quei pochi particolari architettonici che sono sopravissuti ai secoli, all’incuria delle autorità preposte alla salvaguardia dei beni architettonici aventi valenza storica e, non ultimo l’atteggiamento incomprensibile di coloro che reputando ormai inutile quel complesso ricco di storia e di tradizioni, ne ordinarono, a partire dal giugno e fino al dicembre del 1923, la sistematica distruzione con l’utilizzo della dinamite. Le antiche strutture del castello però, almeno in piccola parte, resistettero all’insulto degli esplosivi ed all’ottusità di uomini inetti.
Oggi rinasce un simbolo storico che, pur nella modestia dei ruderi, infonde un pò di speranza in tutti coloro che amano realmente la propria città e la sua storia.
Ritengo opportuno tracciare una seppur breve ricostruzione storica del “Castello a Mare” per avere l’illusoria sensazione di avere contribuito anch’io alla rinascita di un complesso monumentale che seppur gravemente mutilato, mostra ancora oggi la sua straordinaria possanza. Molto probabilmente già in tempi remoti esisteva una fortezza all’estremità della lingua di terra che si protendeva nel mare alla foce del fiume Papireto a nord della sua foce. Comunque la prima prova certa dell’esistenza di un castello difensivo in quel luogo è avvalorata da una miniatura realizzata nel 1195, in pieno dominio normanno.
Si tratta di poco più di uno schizzo, ma è già evidente la mole considerevole di quel castello o fortezza che dir si voglia. Una ulteriore prova dell’esistenza di quel complesso difensivo ci viene fornita da un numero consistente di documenti che attestano della presenza, confinante con quel complesso difensivo, di una moschea araba, trasformata in chiesa cristiana dai Normanni e dagli stessi dedicata a San Giovanni Battista. Non era l’unico tempio cristiano inserito nella fortezza edificato dai Normanni, esisteva anche una Cappella detta della “Bagnara”; oltre all’antichissimo rilievo del castello e la documentazione dell’esistenza delle due chiese, ben poco è rimasto dei rilievi originali dell’enorme complesso, peraltro più volte ampliato e dotato di ulteriori costruzioni nel corso dei tanti secoli; in compenso non difettano le notizie storiche che videro protagonista il “Castello a Mare” nelle numerose vicende che lo posero quale protagonista dei fatti palermitani e, in generale, siciliani.
Non mancarono i tentativi di impossessarsi di quella fortezza, sito ideale per il controllo dell’accesso marittimo alla città. Fra i vari tentativi ricordiamo quello compiuto nel 1333 da Roberto d’Angiò che tentò di forzare con le sue galee le difese del porto per altro senza successo.
Il “Castello a Mare” occupava un sito estremamente efficace per la difesa sia dal mare che dalla stessa città, pertanto fu al centro delle attenzioni di coloro che fidavano in quel possente baluardo per sfuggire alle insidie che potevano pervenire sia da terra che dal mare, fu quindi al centro di continui interventi di ampliamento, delle edificazioni di varie fortezze minori atte a permettere una tattica difensiva che non consentisse un attacco centrato su di un unico edificio, in più vennero scavati profondi fossati che, davano ai terrapieni che li sovrastavano l’identica efficacia di tante isole, questo era l’aspetto planimetrico del Castello nel XIV secolo.
Al complesso si accedeva da un grande ingresso costituito da una porta monumentale che si apriva in direzione della città. In quello stesso periodo il Castello a Mare disponeva già delle celle di detenzione sotterranee, orribili cubicoli piccoli e malsani; queste prigioni divennero un luogo frequentatissimo dai condannati dall’inquisizione domenicana. L’ingresso monumentale antistante al grande complesso venne fatto edificare nel 1496 da Ferdinando il Cattolico e consisteva in due torri esagonali non molto elevate collegate da un muro nel quale si apriva la porta, successivamente sempre per volere del re cattolico venne fatto costruire un possente torrione circolare a sinistra dalla porta monumentale.
Nel 1517 a causa delle tensioni politiche esistenti in Sicilia per il mal governo vicereale, i regnanti temendo una rivolta popolare si trasferirono dallo “Steri” al Castello a Mare, certamente più difendibile e più idoneo ad una possibile rapida fuga.
Nel frattempo il complesso difensivo dovette essere adattato alle nuove esigenze, l’uso della polvere da sparo richiedeva una cortina atta ad assorbire i possenti colpi dell’artiglieria ed attorno a tutto il castello venne edificato un alto bastione costruito con enormi massi intervallati da grandi masse di terra pressata fortemente, in tal modo la forza dinamica dei proiettili veniva notevolmente limitata, compensando anche i forti rinculi dell’artiglieria del castello. Nel Castello a Mare nacquero, durante la permanenza del viceré, Don Francesco Gonzaga e Don Giovanni Vincenzo Gonzaga che in seguito vennero eletti entrambi cardinali.
La fortezza a quel punto non era più solamente un luogo sicuro ma era divenuta una abitazione nobiliare che necessitava di notevoli abbellimenti e ambienti confortevoli; vennero trasferiti nei locali abitati dai viceré e dai loro familiari notevolissime opere d’arte fra le quali due splendidi arieti in bronzo, opere greche del III secolo, uno in seguito venne fuso per farne cannoni, l’altro si trova attualmente presso il Museo Archeologico di Palermo. La tragedia dell’inquisizione ebbe il suo inizio a Palermo nel 1487 durante il regno di Ferdinando il cattolico con l’arrivo in città del primo inquisitore che prese dimora nel castello nel 1551 al tempo del viceré De Vega.
Da quel momento il “Castello” divenne un luogo di indicibile dolore, le celle inadeguate alle minime esigenze vitali, le torture alle quali venivano sottoposti gli inquisiti e le sentenze capitali eseguite davanti allo stesso “Castello” per motivi dissuasivi, trasformarono quella fortezza in un luogo di terrore.
Il Castello a Mare fu sede del Tribunale Ecclesiastico dell’Inquisizione fino al 1593. In quell’anno avvenne un avvenimento disastroso, l’esplosione della Santa Barbara che causò una vera e propria strage fra i prigionieri ed i soldati che li controllavano.
Molte cronache del tempo riportano la notizia narrandone tutti i particolari; raccolte dalla penna ispirata di Leonardo Sciascia che riportò in un suo scritto colmo di pathos la tragica morte del poeta monrealese Antonio Veneziano. L’avvenimento disastroso si verificò il 19 agosto 1593, alle ore 15 all’incirca; dalle cucine che confinavano con due locali “dammusi” che fungevano da Santa Barbara e che contenevano una grande quantità di polvere da sparo, giunse, non si sa come, una scintilla che provocò una esplosione immane, fu di tale violenza che morirono più di trecento persone fra prigionieri, soldati e gente di fatica.
I corpi straziati vennero scagliati a grande distanza, ed ai soccorritori non rimase che mettere i miseri resti, resi irriconoscibili, dentro dei sacchi. Il boato provocato dall’esplosione venne udito a grandissima distanza seminando il terrore fra la gente; non furono pochi i fabbricati prossimi al castello che crollarono sotto l’urto immane dello spostamento d’aria. L’inquisitore monsignor Paramo che si trovava nel castello scampò alla morte, ma rimase gravemente ferito e dovette rimanere ricoverato per molto tempo presso il convento di S. Domenico.
Era in quel periodo viceré il conte D’Olivares, castellano di Salazar. In quello stesso avvenimento disastroso perì il grandissimo poeta monrealese Antonio Veneziano colpevole di avere scritto una “pasquinata” contro il re e di averla appesa al “Piano degli Bologni”, catturato venne processato e torturato “come era uso” gli vennero propinati ben sette tratti di corda e poi rinchiuso in una di quelle celle spaventose dove si trovava al momento dell’esplosione che ne causò la morte.
I frati domenicani del Tribunale dell’Inquisizione dopo quel disastro decisero di spostare il loro tribunale ad altra sede, la individuarono nel palazzo dei Chiaramente (Steri) che si trova nel “piano della marina”.
Il Castello continuò a fungere da prigione ancora per qualche tempo, poi i prigionieri, dopo un breve periodo nel quale vennero reclusi alla “Vicaria”, vennero condotti definitivamente allo Steri. L’unica descrizione accurata del Castello a Mare si fa risalire al 1615 ad opera dello studioso Di Giovanni. Dopo l’evento disastroso causato dall’esplosione il Castello a Mare perdette negli anni la sua importanza come fortezza difensiva ed in breve tempo la sua impressionante imponenza venne mortificata dalla incuria, dalle speculazioni, e dall’incomprensibile atteggiamento delle autorità cittadine che, come già detto, giunsero persino all’uso degli esplosivi quasi a volere cancellare il ricordo di tempi gloriosi, divenuti in seguito di indicibile crudeltà.
Adesso quell’antica fortezza torna all’attenzione del popolo per quel po’ che rimane, grazie all’impegno tecnico ed economico, della Regione Siciliana.
A loro va tutto il merito di quel recupero, seppure tardivo, ma per favore non parliamo di “restauro, accontentiamoci di potere calpestare un luogo che è stato protagonista per varie centinaia di anni della storia palermitana.